come stormi di corvi, come stormi di morte

Non ho tempo, e magari ci ritorno, o magari no.
Ma ci son cose che una donna non può per nessuna ragione lasciare invendicate.
È il caso dell’articolessa di cui il sublime Francesco Merlo, in trasferta-reportage ad Avetrana, fa dono ai lettori di Repubblica.
Fragorosa.
Meravigliosa.
Un capolavoro di delizioso gonfiore.

Certo: il titolo non sarà suo.
Ma già cominciare a leggere una cosa che si intitola «Avetrana, la terra del rimorso che brucia diavoli e streghe» produce il suo bell’effetto sull’apparato di governo gastro-emozionale.

A caso.
Pesco a strascico.

«La signora Cosima parla ad un’altra signora che si chiama pure Cosima, e mentre parlano diventano persino brutte, somigliano a quei diavoli che vogliono cacciare ma che invece si portano dentro».

Santa pace: non solo sono brutte – che come valutazione ci può pure stare, per carità – ma sono «brutte come i diavoli che vogliono cacciare ma che invece» – egli lo vede, Egli sa – «si portano dentro».

O ancora:

«All’ufficio del Comune di Manduria la dottoressa Addolorata Palumbo, pediatra, racconta di “quel rapporto diabolico che nella campagne della nostra Puglia c’è tra padri e figlie: non so se è amore, io credo che si avvelenano a vicenda”».

Egli, ancora una volta, sa.
È quel sapere antropologico, sociologico, primigenio.
Quel sapere carnale.
Quel sapere, accidenti, della «nostra» terra.
Niente che debba andar sottoposto al vaglio della ragion critica, ci mancherebbe altro; diversamente, come potremmo mai fare a tener sveglia quella bellissima retorica da Canne al vento?
Come potremmo, noi, scorgere in trasparenza l’Archetipo o intravvedere l’Antico?
Come potremmo dar voce al mito, alla Grecia?
Come potremmo distinguere l’eco della storia millenaria, sotto le putride incrostazioni da Grande fratello?

E ancora.
Avanti, ce n’è per tutti.

«Il preside Bruno Leo, una bella faccia laica, ricorda manzonianamente “la funesta docilità” e la feroce passione dei linciaggi e si rifiuta di passare sia davanti alla casa dove Sarah abitava sia davanti alla casa della famiglia assassina: “Ci vada da solo, se vuole”. All’improvviso è colto da un disagio che forse – penso – è coraggio civile».

Certo: è importante aver studiato Manzoni, mica starò qui a negarlo .
«Una bella faccia laica».
Cos’è una «bella faccia laica»?
Il contrario di «una bella faccia cattolica»? Di «una bella faccia confessionale»? Di «una faccia religiosa né bella né brutta»?

Io adoro quest’uomo.

«Con noi c’è pure il professore Tommaso Nigro, che ha insegnato italiano anche a Sarah. “Lasciamo perdere” mi dice infastidito dalla propria emozione: “Arrivano dalla capitale come stormi di corvi, come stormi di morte. In Italia i linciaggi li fa la televisione”».

Tre cose.

1. Apprezzo la sensazionale novità della considerazione che «in Italia i linciaggi li fa la televisione» (e se non altro, per quanto schifo mi facciano, trovo piuttosto consolante che li faccia la tv e non le persone in carne e ossa con le pietre e le mazze e i pugni).

2. Mi chiedo come faccia Merlo a esser certo che il professor Nigro sia «infastidito dalla propria emozione» e non – faccio per dire; solo per avanzare un’ipotesi che allo stato mi sembra avere identico tasso di credibilità, ma io non sono nessuno – da Merlo ipse.

Dice: di cose ne hai promesse tre e ne hai dette solo due.
Ci arrivo.

La terza, in effetti, è quella che mi piace di più.
Merlo riferisce di una frase che gli viene detta.
Questa: «Arrivano dalla capitale come stormi di corvi, come stormi di morte».
(Che immaginetta lirica, eh?)

La cosa, sia chiaro, non lo riguarda: lui non arriva come pezzetto di uno «stormo di corvi» o come un esponente ancorché alato di uno «stormo di morte» dalla capitale.

Lui arriva, in effetti, da Parigi.
E si chiama Merlo. Non Corvo.

Sc’è una scèrta differàns.

Poi ci sono un «dunque vado da solo nella casa della morte» (come evitare il richiamo a «valanga killer»); un «a fatica le strappo il nome: Lucia» (che bravo, questo giornalista che fa tutta questa fatica per strappare il nome alle sue fonti); un «mi guarda e, con gli occhi, mi fa capire che lei non se la beve, che non crede al rito dell’informazione» (con gli occhi, eh).

Consiglio vivamente la lettura di questo articolo.

Questa sì che è testimonianza, verità, cronaca, parresìa (e se non sapete cosa vuol dire, andate su Wikipedia, ché con questa cosa della parresìa parecchi han stracciato le palle).