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l’altrove di un altro
Stasera ho chiacchierato con una persona.
Non è di Verona.
È venuto qui – mi raccontava – per dar corpo a un suo sogno, assecondando una specie di voglia di fuga che mi pare di aver capito gli si è mossa dentro per tutta la vita.
La persona con cui sta – mi ha detto – è di qui, ma si sono conosciuti all’estero, in un Paese molto lontano.
Vivono in campagna, adesso; poco fuori dalla città.
A me, che attraverso questo posto con un senso crescente di (dolorosa) estraneità esistenziale, è sembrato incredibile che qualcuno possa vivere Verona come il suo «altrove» personale, il nido a dimensione di sé.
Forse, quando si cambia vita (e ci si sente fiduciosamente artefici del proprio destino, e arbitri delle proprie scelte), la merda che ci cola addosso non entra veramente nei pori perché non è la nostra merda e per scrollarcela di dosso basta una doccia.
Quanto a me, di questo posto amo solo le pietre, ciò che si presenta agli occhi. Amo il ricordo di me piccola per queste strade e queste piazze.
Mi sentivo padrona dei luoghi. Sentivo di dover essere padrona dei luoghi, perché avvertivo la responsabilità – una delle tante – di essere io il mezzo attraverso il quale lo sradicamento di mia madre poteva stemperarsi in un possibile senso di appartenenza.
(Non ha funzionato così.
Sono parecchie le responsabilità di cui mi sono caricata inutilmente. Ma forse le intenzioni sono più importanti dei risultati; forse sono i moventi, e non gli obiettivi, che ci informano di sé).
Scrittrice e giornalista, ho lavorato per oltre vent'anni nei quotidiani, dimettendomi in agosto 2012 da un contratto a tempo indeterminato.
Ho scritto il noir 
In realta’ sono legato a quello che faccio qui e non facevo nei vari “altrove” della mia vita ( anche grandi metropoli).
Non intendo retoricamente sostenere che “il vero benessere è dentro di noi “ma stare ogni giorno nell’ antro felice ove lavoro è anche una fonte di contatti umanamente soddisfacenti , inclusa la chiacchierata dell’ altro giorno.
Su questa citta’ ( o su quelle dalle quali provengo od ho vissuto ) potremmo disquisire a lungo, ma penso che scavando un pochino anche qui vi siano sprazzi assai incoraggianti di umanita’ e non solo di pietre ………..
Sì. La relazione è tutto quel che resta, e forse è addirittura tutto quel che occorre, chissà.
Forse nel mio senso di estraneità e nel tuo di «suitability» c’è di mezzo anche il lavoro, forse contano gli incontri; o forse c’è bisogno di passare per lo sradicamento come condizione esistenziale, e poi tutto cambia.
Benvenuto, comunque.
Grazie.