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studiare solo ciò che rende?
Tagli alle «facoltà inutili», sento dire.
Voci festanti che parlano di sprechi ridotti.
Ma – al di là della gestione che può essere sciagurata e baronale, per carità, ma è un’altra cosa, e non è minimamente connessa, logicamente, dico, all’utilità o all’inutilità di una facoltà – c’è qualcuno che veramente veramente crede che esistano rami del sapere insignificanti, inutili?
E se studiare semplicemente piace?
Ma veramente bisogna studiare solo ciò che rende?
E veramente ha senso limitare a dodici le facoltà?
Che idea è?
Temo che il paradigma dell’esistenza sia oggi il valore commerciale e poiché ormai il valore commerciale non è mai visto in termini di investimento ma di immediata rendita, anzi direi che l’azione gradita all’economia è la rendita prima dell’investimento, nessun valore avrà mai la brama di conoscere. Per costoro, si intende. Insomma detto altrimenti quand’anche non fummo fatti così ci vogliono trasformare in bruti, lontani dalla virtù e dalla conoscenza.
Ma dove le andremo a studiare – mi domando – e guidati da chi, le cose che non hanno mercato? Che non sono traducibili nemmeno in show (che è l’unica faccia attuale del cosiddetto mercato culturale)?
beh.. sarebbe utile che la Gelmini non esistesse
Ma la vera domanda è: renderebbe, la sua inesistenza, dal punto di vista economico?
;-D
Benvenuto, mlenders.
io non lo so ma forse è stata colta da crisi mistica… insomma 12! il numero delle tribù di israele, il numero degli apostoli non è certo un numero a caso. Non sottovalutiamo l’ipotesi mistica eh!
Ma Federica le facoltà non corrispondono ai corsi di studio, e nel nuovo ordinamento avranno solo funzioni di coordinamento dei dipartimenti, che avranno la titolarità della didattica. In questo senso, è una razionalizzazione solo organizzativa, che lascia più o meno intatto quello che c’è sotto (sto parlando di questo punto in specifico). Secondo me l’ispirazione della “riforma” sono i tagli economici, tutto il resto è fuffa per farci discutere di altro
MB (ricercatore di sociologia, unipd)
Matteo, lo so che le facoltà non sono i corsi di laurea.
In che misura questa consapevolezza potrebbe spostare il senso della mia domanda, ovvero che senso abbia decidere che ad andar studiate siano esclusivamente – la dichiarazione d’intenti è di questo tenore, no? – le discipline «utili»?
(Moglie di ricercatore di sociologia, unipd)
A quanto pare, “inutile” è diventato una parola tuttofare. Gli enti? Inutili. Le facoltà? Inutili. Il parlamento? Inutile. Eccetera.
“Inutile” è l’opposto di “di qualità”, credo.
Peraltro, una qualsiasi cosa è “utile” o “inutile” rispetto a certi scopi. Che andrebbero nominati esplicitamente.
Il guaio è che si tratta di una di quelle parole che vengono utilizzate per statuto esattamente allo scopo di creare nuvole di consenso intorno a nuvole di concetti ideologicamente riconoscibili ma non seriamente perimetrabili nei significati.
Io vedo un sacco di parole-tuttofare, che si prestano come mercenarie a comunicare senza dire.
Mi domando in quanti ne soffriamo, almeno un po’; in quanti ci stiamo un po’ male…
A starci malecredo che siamo in tanti ad avere l’idea del perchè temo invece che siamo pochi. Ah …in ambiente ricerca / università io non sopporto neanche ‘eccellenza’ nel corrente significato di ‘amico del potente’. Anche il ‘merito’, in una società in cui i ‘meriti’ di molti ministri e di qualche ministra sono indicibili e indecenti mi irrita. Però a tanti piace…
Dipende da chi è tuo marito 😉
Dalovi!!!!!!!
Ah, quanto, quanto mi irritano merito-eccellenza-eccetera!!!
Matteo, ho testè scoperto che mio marito lo conosci bene… Che ti è proprio – come posso dire? – vicino…
😉
O_o il più vicino è impossibile, quindi? Oddio, a questo punto sono curiosissimo
“Vive a Verona con marito e figlio”, allora hai ragione te 🙂
Il mondo è minuscolo. Minuscolo.
Ciao e benvenuto, Matteo!