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l’invidia (raffinata), saviano e berlusconi
Succede una cosa curiosa.
Succede che in un pacatissimo scambio di opinioni in calce a questo mio post, ci si confronti su alcuni punti relativi alle conseguenze politiche dell’azione di Roberto Saviano, senza fare riferimento al libro ma alle sue prese di posizione pubbliche successive.
Succede che dopo avere io argomentato le ragioni per le quali a me Saviano sembra ben inserito nella logica di mondo espressa dal berlusconismo (ma nata – scrivevo – prima di Berlusconi), mi venga eccepito questo:
a) che uno dei miei argomenti (che i fenomeni non sono nati nel momento in cui ne ha preso coscienza Saviano) è «curiosamente ripreso da quasi tutti gli “avversari” di Saviano» (laddove non vedo tutta questa «curiosità» nell’essere d’accordo con chi è d’accordo con me);
b) che quell’argomento «implica il giudizio che Saviano sta occupando “illegittimamente” quel ruolo mediatico. Come se, assurdamente, si trattasse di un premio al primo arrivato»; e inscrive il «risentimento» che contro Saviano provano le persone che lo criticano (in realtà io criticavo la Rete, di cui ho fatto parte come fondatrice del gruppo veronese, sostenendo che quell’azione abbia aperto le porte al berlusconismo. Non sono certo io a sostenere che l’unico interlocutore legittimo, al mondo, sia quello che arriva per primo. Ho detto, al contrario, che le conseguenze politiche dell’azione di Saviano si inscrivono in fenomeni che son partiti prima di lui, e che sarebbe ora che ci si rendesse conto che Saviano non è l’anno zero. Come questo implichi la censura verso coloro che non sono arrivati per primi non mi è chiaro);
c) che – forti dell’analisi di Umberto Galimberti – si può ben dire che «“se è vero infatti quel che dice Spinoza, secondo il quale l’esistenza è forza che può conservarsi solo espandendosi, l’invidia tende a contrarre l’espansione degli altri per l’incapacità di espandere se stessi, per cui è un’implosione della vita, un meccanismo di difesa che, [evidenzierei questo:] nel tentativo di salvaguardare la propria identità, finisce per comprimerla, per arrestarne lo slancio”». Si può perciò inserire anche me, e con quale facilità, dentro quest’«invidia», questo «risentimento», partecipe di «questo conflitto. Dove si scatena una ‘invidia’ a livello collettivo», della quale posso non essere conscia io ma consci certamente ne sono Galimberti e il mio interlocutore;
d) che è incomprensibile la ragione per cui «non ci si occupi con la stessa “febbre” di altri beneficiari del potere dei media» (purtroppo con la stessa «febbre» mi occupo di molti altri «beneficiari del potere dei media», fin da quando il blog vive);
e) che ci si occupa (l’impersonale è fantastico: niente di specificamente diretto a me, ci mancherebbe; siamo nel campo dell’analisi sociologica) di Saviano più che di altri (non importa che sia vero oppure no, chisseneimporta), perché si considera che «Saviano nell’immaginario di tutti si prende uno spazio culturale che spetterebbe – per capacità, preparazione, stile – a molti altri». Saviano, insomma, dai suoi detrattori (schiera alla quale ope legis sono stata annessa) è visto come un usurpatore; il punto f) chiarisce meglio;
f) che «i piccoli altri sono toccati dall’esser stati fagocitati in massa (sempre rispetto all’immaginario collettivo) da una sola persona. La sensazione è: sta parlando al mio posto; ‘agli occhi della gente’ la cultura anticamorristica è incarnata in Saviano: tradotto: sta rubando uno spazio non suo, che è mio, o di coloro che condividono con me una identità collettiva (coloro con i quali ci sentiremo di dire “noi”)». L’analisi è bella che fatta: voi, collettivamente (di nuovo: niente di personale, ci mancherebbe altro), pensate senza saperlo che, nientedimeno, Saviano ruba;
g) che «l’invidia è, nel suo sedimento più sottile, come ben dice Galimberti: un tentativo di salvaguardare la propria identità, comprimendo lo spazio altrui. Saviano sta prendendosi uno spazio che “ci” appartiene, come pubblica opinione, come cittadini, come attivisti, come giornalisti, come intellettuali. Questo, ne sono certo, sta avvenendo ora rispetto al “simbolo” Saviano, anche se a livelli più subdoli, sublimati, raffinati. In gioco c’è una identità culturale collettiva» (cioè: critico Saviano e dunque sono invidiosa, ma eventualmente a livelli più subdoli, sublimati, raffinati, anche se in realtà comprimo lo spazio altrui per salvaguardare la mia identità);
h) che io abbia sostenuto che «Saviano preparerebbe il campo al berlusconismo» (in realtà ho detto esattamente l’opposto, e rifacendomi anche all’esperienza «no-destra-no-sinistra-legalità-bipartisan» della Rete, a cui ho partecipato).
Tralascerò tutto.
Tutto.
Mi concentrerò solo su un punto: che l’argomento dell’invidia è tremendamente berlusconiano.
Che a scomodare questo sentimento come chiave di lettura di fenomeni politici è stato Berlusconi.
Che a dire che i «comunisti» ce l’hanno con lui per invidia è stato Berlusconi.
Che a sostenere che i «comunisti» hanno «invidia sociale» è stato lui.
Non mi risulta che, precedentemente, la parola «invidia» sia stata utilizzata in chiave politica da un esponente delle istituzioni. «Invidia di classe», «invidia sociale», e adesso ecco l’«invidia di identità».
Ora.
Secondo me, giudicare le critiche argomentate (e opinabili, ovviamente) nei confronti delle conseguenze politiche dell’agire di Saviano secondo la lente dell’invidia fa un grave torto alla serietà delle ragioni altrui.
Testimonia piuttosto chiaramente quanto profonda sia la divisione in fazioni sull’azione di Saviano.
Ecco. E io sono proprio stufa di non poter parlare senza che mi si annetta alla fazione di qua o a quella di là.
Ho delle idee. Ma quando si tratta di Saviano esse non sono ammesse. Ovvero: sono ammesse, ma bisognerebbe evitare di esprimerle.
Ciao Federica, ho pensato che magari ti potrebbe interessare la discussione sul blog dei Wu Ming. Per parte mia al momento non riesco a capire cos’è successo, ho letto Gomorra, ma credo troppo in fretta, e ultimamente la sua lettera a Schiavone su Repubblica. Non so, le parole di Saviano mi sono sembrate le uniche possibili da dire.
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=824
Grazie, Paperinoramone.
Tra le cose scritte nel tuo link, questa frase:
«Beh, in ballo c’è in effetti una questione politica.
Il pezzo di Carmilla infatti non solo riesce a cogliere tutta la cialtroneria dell’operazione di Dal Lago e Manifestolibri, ma ne smaschera anche l’intento politico. Vale a dire: scegliere il bersaglio grosso, Saviano, per portare un attacco indiscriminato e generalista (verrebbe da dire luogocomunista) a una fetta di intellettuali e narratori di sinistra che hanno provato, in questi anni, a diverso titolo e con diverse modalità, a percorrere il territorio della cultura pop nelle sue declinazioni più “alte”».
Veramente.
Non c’è nient’altro da aggiungere.
Nient’altro.
Assolutamente niente.
C’è solo da sbattere la testa sul muro.
(Non solo solo invidiosa.
Porto anche, nella mia miseria culturale, «un attacco indiscriminato e generalista (verrebbe da dire luogocomunista) a una fetta di intellettuali e narratori di sinistra che hanno provato, in questi anni, a diverso titolo e con diverse modalità, a percorrere il territorio della cultura pop nelle sue declinazioni più “alte”».
Meno male che in giro c’è gente che mi dice cosa penso.
Naturalmente, niente di personale: tanto più che io sono un microbo invidioso, faccio parte dei «piccoli altri», e certamente non sono né un’intellettuale né una narratirce di sinistra né mai ho provato a percorrere il territorio della cultura pop nelle sue declinazioni più «alte».
Neanche in quelle più basse, d’altra parte.
Non ho percorso nessun percorso, io.
Però Wu Ming 4 parlava di Dal Lago, non di te. Questo è “mettersi sulla linea di tiro” quando si sta sparando a qualcun altro. Wu Ming 4 in quella discussione (che è parecchio ricca, ormai quasi a 90 commenti e tutti direi interessanti e non manichei), faceva riferimento a un’analisi(della redazione di Carmilla) del libro di Dal Lago che lo smonta negli argomenti e ne rivela i numerosi errori. Visto che Dal Lago ha costruito la sua lettura del fenomeno-Saviano su alcune argomentazioni di base, non è ininfluente se qualcuno dimostra che quelle argomentazioni sono fatue, capziose e viziate nel metodo. Si è in grado di dimostrare che l’analisi di Carmilla è sbagliata, e quegli errori (di metodo, di citazione, di interpretazione), che formano un elenco numerosissimo, nel libro di Dal Lago on ci sono?
Non mi volevo mettere sulla linea di tiro: volevo solo dire che a me è parso che nessuna critica a Saviano sia mai stata giudicata pertinente.
Scatta un meccanismo molto forte di difesa, ed è questo che io non riesco ad approvare.
Ho «aggiunto» me perché quel che io sento, da questo periferico e marginale punto di osservazione, è che chiunque critica Saviano viene facilmente rivestito dell’identità della persona colpevole di operazioni torbide, sballate, livorose, con secondi fini.
Ho letto il libro di Dal Lago – e al di là della sua analisi su Gomorra, su cui non entro perché i libri sono univbersi a sé stanti – ho condiviso alcune delle sue argomentazioni.
Il rifiuto dell’universo «bi-partisan», per esempio, mi convince.
Mi convince l’argomento secondo il quale negli interventi pubblici di Saviano la dimensione politica è spesso risolta in dimensione morale.
Non mi convincono le argomentazioni a sostegno della «sporcizia morale» del libro di Dal Lago.
Io capisco che le metafore abbiano una loro potenza che (ovviamente!) trascende il loro significato letterale: però il tuo riferimento alle «linee di tiro» e agli «spari» rivolti ad altri mi dice – ancora una volta – che parlare pacatamente di quest’argomento è difficilissimo.
Le analisi di Helena Janeczek e della redazione di Carmilla non mi sembrano liquidabili come “facili rivestimenti” e allusioni a “secondi fini” dettati da “meccanismi di difesa”. Mi sembrano, soprattutto la seconda, affrontare il libro nel pieno merito dei suoi argomenti, con una accuratezza che Dal Lago avrebbe dovuto dimostrare per primo. Insomma, Carmilla ha letto “Eroi di carta” in modo molto più attento e scientifico di quello dimostrato da Dal Lago nel leggere “Gomorra”. Le argomentazioni non sono soltanto opinioni, vanno dimostrate valide con l’ancoraggio ai fatti. Non possono essere pregiudiziali. Se Dal Lago riporta nel suo libro fatti che poi si scopre non essere avvenuti, ad esempio che durante il tale evento Saviano ha affermato la tale cosa, e poi si va a sentire la registrazione e si scopre che ha detto l’esatto contrario, e se errori così se ne registrano a bizzeffe, a me sembra che le argomentazioni vadano riviste, perché prive di quell’ancoraggio di cui sopra.
Mi sembrano molto serie le parole di Norma pescate fra i commenti al link: «Vista la pericolosa sovraesposizione del nostro, andrebbe evitata qualunque forma di sostegno che tenda a rafforzare la sua dimensione simbolica, comprese raccolte di firme, diatribe pro/contro via mass media, inviti a convegni con la scorta fuori, ospitate faraoniche in tv, etc.
Dubito che lui non si renda conto. Credo che scelga di camminare sul filo. Ha più di un obiettivo (personale, artistico, sociale, politico) e non mi sembra che agisca per smorzare l’onda di piena che rischia di travolgerlo. Io credo che voglia imparare a fare surf, e lo capisco».
(…)
«Temo però che difenderlo, proteggerlo, rivendicare la sua capacità/possibilità/libertà di espressione come se fosse emblematica (e non lo è, proprio per la particolarità dell’evento) lo releghi ancora di più nell’ambito dei simboli e degli altarini.
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=157
un’ altra discussione di tempo fa, la parte su Saviano è sul finale del post. Poi dovrei dire qualcosa anch’io ma non so che dire. Quello che posso dirti è che seguendo da un po’ i wuming di solito non sparano nel mucchio e dunque se avessero letto i tuoi interventi e li avessero voluti criticare lo avrebbero fatto citandoti, naturalmente puoi sempre intervenire tu. Io passo da un post all’altro perché ho la sensazione che in fondo state percorrendo strade simili.
Le argomentazioni relative al libro sono un’altra cosa, Yomucen: hai ragione. In effetti, di Gomorra io non ho parlato.
Le cose che io ho da dire attengono all’idea di democrazia sottesa dall’azione pubblica di Saviano; non c’entrano con il suo libro. C’entrano col meccanismo del quale – con Norma – mi sento di poter dire che lui non sia inconsapevole.
Nella sua figura pubblica, purtroppo, trova agglomerazione un pezzo importante di ciò che secondo me si potrebbe chiamare «democrazia della paletta», ovvero una forma di democrazia pretesamente «diretta» che si esprime (come quando allo Zecchino d’Oro la giuria alza la paletta e dà i voti alle canzoni, esaurendo il proprio ruolo in questa presa di posizione) nella logica improduttiva della petizione, della raccolta di firme, della dichiarazione d’intenti, dalle quali nulla di politico può mai trovare la forza di germinare.
Sono sicura che la colpa non è di Saviano.
Sono sicura che le cause sono tremendamente complesse.
Ma mi sembra di poter dire anche che utilizzando questo meccanismo Saviano – per sintetizzare brutalmente – non mi fa del bene.
Sì, sono cose che ad esmepio i Wu Ming dicono da tempo. Però questa non è la posizione di Dal Lago: Dal Lago dice qualcosa di piuttosto diverso, traascina in una critica distruttiva quanto raffazzonata tutto ciò che ha a che vedere con Saviano, svaluta la persona insieme al personaggio, sfotte e cerca di svalutare tutto il libro (dimostrando però, nelle citazioni che sbaglia, di averlo letto con poca diligenza) mentre nel link Norma fa un discorso a tutela di Saviano e di quello che di importante ha fatto e dice che lo capisce che Saviano cerchi di fare surf. C’è differenza.
Stavo rispondendo al tuo commento delle 4:09, non avevo visto quelli successivi.
Paperinoramone, ma io non voglio dire che i Wu Ming criticano me!
Non mi sono assolutamente mai sognata di pensarlo!
Come dicevo a Yomucen, mi «mettevo in mezzo» solo perché le parole che citavo mi parevano esemplari del fatto che chi critica Saviano viene considerato livoroso.
Tra l’altro, sono anche d’accordo con molte delle cose che Wu Ming1 scrive nel commentario del link che mi hai trasmesso.
Io ho letto il libro di Dal Lago; so che ha criticato i Wu Ming e il loro – e di molti altri – Nie.
Su questo punto ho trovato francamente spiacevoli alcuni toni di Dal Lago; e ora, sempre sulla questione specifica, ho trovato spiacevoli alcuni toni di Carmilla e Wu Ming.
@Yomucen: come ti dicevo, sulla parte di «critica letteraria» (quella all’inizio e alla fine del libro di Dal Lago, per intenderci) non ho da dire niente, e infatti taccio.
Dicevo solo che alcune argomentazioni di Dal Lago – ne ho citate due qui sopra, rispondendoti prima – mi sono però sembrate convincenti.
Per questo, non mi sembra che sia giusto che delle cose che Dal Lago ha scritto vengano esaminate solo quelle relative alla «querelle» letteraria. Che si facciano le pulci a quelle e che si ignori il resto.
È lo stesso Wu Ming1, d’altra parte, ad avvertire i rischi «mediatici» della condizione di Saviano.
Nel libro di Dal Lago c’è anche questo argomento; però quel che compare sono sempre gli stivaletti, l’intervista data a Parigi e non in Spagna, la questione dell’uno e trino…
non avevo capito.
@Andrea: in effetti, io non sono Dal Lago.
Però una cosa mi viene fuori: libro a parte (lo ripeto per l’ennesima volta; i libri piacciono o no; sottendono mondi con cui ci si sente in sintonia o no; raccontano storie vere o no; usano lingue che parlano, cantano, grattano o urlano…), è difficile tenere distinti la persona e il personaggio, nel caso di Roberto Saviano.
Mi sembra un lavoro impossibile, quando Saviano stesso sovrappone (magari per forza, e chi lo sa, ma di sicuro – credo e pure mi auguro – consapevolmente) i due livelli presentando se stesso come «giurato-capo» dello Zecchino d’Oro. Absit iniuria verbis.
@Paperinoramone: forse mi ero spiegata male io.
Ho fatto un discorso assai più complesso. Se per replicare ci si vede costretti a semplificare gli argomenti dell’interlocutore, a utilizzare stancamente il feticcio Berlusconi, in modo così scomposto ed esibito, hai ragione tu, bisogna smettere. Credo poi che abbia preso il discorso dell’invidia sul personale, non considerando invece il senso del commento. Colpa mia, può essere stato un errore adoperare questa parola, che ha una tradizione non proprio indifferente. Se ci fosse però la lucidità per valutare correttamente, si vedrebbe che non è stato in mala fede. Non era comunque mia intenzione offendere, e assolutamente insultare. Solo rilevare qualcosa che mi pare stia succedendo, da quando un grande spazio è stato occupato da Roberto. E che una reazione umana, comprensibile, non deprecabile ma fortemente criticabile per i suoi effetti, e en passant per le tensioni che muove (secondo certi) nella pancia di molti, è avvenuta. Quante persone invidio per la loro lucidità e per la loro preparazione e per la loro posizione, per le belle amicizie… Ma non credo, in questo momento, di stare autoinsultandomi. Anzi è questa una spinta per andare avanti, per accelerare. Comunque per me è stato uno scambio interessante, mi ha fatto riflettere molto.
Ti saluto gentilmente, con stima.
“non mi sembra che sia giusto che delle cose che Dal Lago ha scritto vengano esaminate solo quelle relative alla «querelle» letteraria. Che si facciano le pulci a quelle e che si ignori il resto.”
Ultimo commento se no divento lezioso: a “fare le pulci” è Dal Lago stesso nel suo libro, solo che per lui non si tratta di pulci, per lui sono prove a carico del fatto che Saviano mente (questo per riassumere all’estremo). Dunque deve pure aspettarselo che qualcuno faccia un “controesame”, non è quello che la critica dovrebbe fare sempre= In ogni caso nella recensione di Carmilla solo un paragrafo su sei (mi pare) è dedicato alle “pulci”, c’è anche per esempio tutta una parte sulla verità, che contesta il metodo di Dal Lago partendo dalla filosofia che lo stesso Dal Lago usa come pezza d’appoggio. E sui rischi “mediatici” di Saviano, sono cose che si possono dire anche con forza senza cercare di delegittimare in toto quest’ultimo. Tu ad esempio non lo fai, adesso l’ho capito abbastanza bene. Dal Lago lo fa, da una semina del genere cosa si aspettava di raccogliere? ha un bel fare la vittima adesso!
Capisco quel che dici.
Però c’è un’altra cosa, fra tante, che io non ho capito: perché si ponga il problema di una «delegittimazione» dev’essersi anche posto (e risolto) il problema della «legittimazione».
Ma qui l’ambiguità è tremenda: uno scrittore non ha bisogno di legittimazione, ma un «attore politico» sì.
Perché, allora, per Saviano il tema delle asserita delegittimazione è così sentito?
Io posso pensare che in alcune occasioni (parecchie, in effetti) Saviano abbia scritto o detto – non nel libro, lo ripeto – cose che non capisco, non condivido e in qualche caso mi sembrano sciocchezze marchiane, ma non mi verrebbe mai in mente che dire che quelle secondo me sono sciocchezze equivalga a delegittimarlo.
Mi è chiarissimo che io non vorrei che lui fosse sotto scorta; che io vorrei che chi lo minaccia venisse definitivamente messo in condizione di non nuocere a lui (né a nessun altro).
Ma mi è altrettanto chiaro che Saviano a volte dice e scrive cose che mi fanno cadere le braccia.
Ciao, Yamucen (Andrea). Grazie di tutti i commenti.
Perchè sempre più spesso capita di dire un’opinione, di affermare con chiarezza concetti, di esprimere un’idea,che quasi sempre, innesca perversi meccanismi interpretativi?
Perchè sempre più spesso si viene fraintesi anche su concetti chiari,che non avrebbero bisogno di ulteriori spiegazioni o di frasi tipo: non mi sono spiegata…, volevo dire.., non intendevo dire che… come se le parole venissero deformate strada facendo?
Io credo sia a causa della malafede.
Le persone in malafede sanno di cosa stiamo parlando, e in fondo a se stessi sanno che le cose che diciamo non lasciano dubbi, ma fanno in modo di guardare al dito e non alla luna, spostando sapientemente l’attenzione dalla sostanza al metodo,(sappiamo tutti chi è il maestro nazionale di questa tecnica!)La malafede è dentro chi rilascia dichiarazioni su Saviano guardando all’invidia, ai soldi, alla popolarità, discutendo di metodo e dimenticando la sostanza, i fatti. Magari sulla camorra fosse stato speso tanto inchiostro quanto quello versato su Saviano! E siccome questa degenerazione morale della parola fa comodo a molti,viene seminata e coltivata come fosse grano. Così i fatti, cioè la camorra,per cui Saviano oggi sta come sta, passa in secondo piano,ancora libera di fare i propri comodi,spacciando droga,assoldando ragazzi killer,rendendo ricchi,e quindi schiavi, politici e industriali ormai collusi in modo inestricabile anche dai magistrati più caparbi.Protette dal bozzolo della malafede,la camorra, la corruzione, le bugie dei politici,la decadenza,continuano indisturbate la propria corsa,lasciando Saviano con le spalle curve a domandarsi: Perchè l’ho fatto? a cosa è servito? A niente, e la malafede questo lo sa.
Quando dicevo “delegittimare” intendevo dire distruggerne in toto la credibilità, e quella ce l’abbiamo tutti, scrittori o meno, testimoni civili o meno, sotto scorta o meno.
Sono d’accordo. Ma se ce l’ha ciascuno di noi preso di per se stesso, come essa può venirci tolta da qualcun altro?
Non è un sofisma; è che parlare di delegittimazione per ciò che/per chi non ha bisogno di legittimazione esterna da sé equivale ad affermare l’eterogenesi della legittimazione.
“se [la credibilità] ce l’ha ciascuno di noi preso di per se stesso, come essa può venirci tolta da qualcun altro?”
Io posso anche continuare a credere a me stesso, ma se nessun altro mi crede perché altri mi hanno delegittimato, non credo che la mia sarà una bella vita. Nessuno di noi vive solo al mondo e perfettamente autosufficiente. E’ evidente che qualcuno sta cercando di distruggere la credibilità di Saviano come testimone e figura pubblica. Non basta dire che Saviano è legittimo “ai propri occhi”, dato che lo scopo del suo lavoro è quello di comunicare agli altri! E poi, un lavoro di demolizione della figura pubblica spesso intacca anche la propria autostima.
Non la credibilità. La legittimazione, intendevo.
Onestamente, io non credo che qualcuno stia tentando di distruggere la credibilità di Saviano.
Penso che sia la dialettica (violenta, magari) di questo tempo.
Se si è così fortemente visibili, l’assenza di critica mi preoccuperebbe moltissimo.
Non mi aspetterei, francamente, che Saviano piaccia a Fede e a Berlusconi.
Però non è che chi non piace a Fede e a Berlusconi deve per forza piacere a coloro che non amano – o anche francamente disprezzano – tanto Fede quanto Berlusconi.
Diverso il caso in cui si sia chiamati a scegliere – permettimi la leggerezza – come nell’odioso «gioco della torre»: non avrei il minimo dubbio.
Non capisco cosa intende per berlusconismo, limitatamente a questo articolo. Ciò mi rende difficile capire l’accusa di potenziale (scusi se parafraso e sintetizzo, mi corregga pure se ho sbagliato espressione) berlusconismo rivolta a Saviano. Che corra il rischio di diventare simbolo, indebolendo il legame emittente messaggio fino a renderlo una coppia inscindibile, credo sia vero; ma non capisco esattamente il discorso sul berlusconismo. Cioè: è Saviano che si berlusconizzerebbe, è un certo tipo di pubblic a farlo, o entrambi?
Benvenuto qui, Matteoplatone.
Saviano non è berlusconiano; non l’ho detto.
Penso di poter chiarire un po’ meglio citando due miei commenti ad altri interventi giunti in calce a un altro post:
«Io disapprovo politicamente l’idea di società (e di democrazia) che Saviano incarna (è un argomento su cui più volte ho scritto qui sul blog) e rivendico il diritto di dirlo.
Questo non fa di me una camorrista, o una sodale di Berlusconi, o una rancorosa, o un’invidiosa.
Io credo che Saviano sia un pezzo della società berlusconiana, e non perché ha pubblicato con la Mondadori».
«(…) il tipo di «berlusconismo» di Saviano non» attiene «né alle sue idee né al fatto che egli sia un fenomeno di massa.
Dico che il tipo di «emisfero emotivo» che mobilita a me sembra il medesimo: quello che ignora il rilievo della mediazione politica degli interessi per concentrarsi su un’idea di democrazia pretesamente diretta che si esprime nella logica improduttiva ed esangue della petizione (a sinistra) e del plebiscito (a destra).
Oltre a questo, sono convinta che non sia assolutamente vero che la battaglia contro mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita sia una battaglia trasversale e bi-partigiana.
Penso che De Andrè, fo per dire, sapeva che non sempre i giudici han ragione; che non è che ce l’hanno per definizione. La polizia che arresta i casalesi è la polizia del G8 di Genova, io non so dimenticarlo.
Questo non significa certamente che se devo scegliere fra la camorra e la polizia scelgo la camorra, ci mancherebbe altro.
Significa, però, che «lotta al crimine» significa NECESSARIAMENTE cose diverse – semplifico e brutalizzo con un’accetta sommaria e volgare – per chi è di destra e chi è di sinistra.
Io penso che quest’idea unanimistica – ancorché di derivazione certo non direttamente berlusconiana – sia ora perfettamente compatibile con l’ideologia berlusconiana, secondo la quale non esiste ciò che è di parte: esiste solo ciò che è definito «di buon senso».
Esistono solo concetti maggioritari che contengono nel loro essere maggioritari la loro intrinseca verità (tant’è che, a proposito delle vicende della Fiat di Pomigliano, un ministro come Sacconi può permettersi di parlare di «logica del conflitto» dando per scontato che il conflitto non esista e sia semplicemente un’invenzione di qualche irriducibile individuo che si ostina a pensare che gli interessi del padronato non siano necessariamente identici a queli dei lavoratori, per esempio)».
grazie per la risposta esaustiva, ora credo di aver capito meglio il suo punto di vista.
Io credo che il problema di “emisfero emotivo” sussista in maniera differente. Come ho accennato prima, se non si scinde il messaggio in sé dall’emittente, arriva un meccanismo di identificazione indissolubile dell’uno con l’altro. In breve, si crea l’idolo. Un esempio di separazione tra i due piani, della necessità, per una coscienza critica di cittadino realmente partecipe dei processi del proprio paese, si ha nella scena finale del film “Il caimano”, forse la più efficace distruzione della maschera berlusconiana, con il frasario di Berlusconi messo in bocca ad un cattivissimo Nanni Moretti. Cambiando l’emittente (in senso mimetico), il messaggio acquista un valore diverso.
dovrebbe essere compito della critica tenere la discussione su “Gomorra” e non su “Saviano”, togliendo terreno a questo processo idolatrante.
quanto alla discussione invidia no / invidia sì, il paragone Saviano / Berlusconi non regge. l’invidia nei confronti di Saviano, mi permetta, non è la stessa che viene impugnata contro gli accusatori di Berlusconi: intendo “invidia” come facile confutazione di chiunque critichi (“ad hominem” anche qui). Ciò si potrà dire, al limite e per esempio, quando si troverà il nome di Saviano tra gli iscritti di una loggia massonica deviata, per fare un esempio abbastanza chiaro, o quando emergeranno scandali il cui contenuto, a prescindere dalla risonanza mediatica, risulti chiaramente preoccupante. Fuori da questa sproporzione, sia che piaccia o no, la portata oggettiva di Saviano è di un tizio che a scritto un libro sul sistema camorra, libro che ha venduto uno scatafascio di copie, eccetera eccetera.
Credo, in questo senso, più che processare il singolo, giunti in questa fase critica della storia d’Italia, iniziare a processare il popolo, iniziare dal “Berlusconi in me” più che dal “Berlusconi in sé”, per citare Gaber.
Nessun processo, Matteo.
Oh, se ti riferisci all’ultimo “processo”, intendevo secondo un’accezione storica e culturale.
Pasolini propose, provocatoriamente, il processo alla vecchia Dc, la classe dirigente collusa a vario titolo nei malaffari del paese.
ecco, oggi credo si debba processare noi italiani, sia come esame di coscienza, sia come dibattito propedeutico a cambiamenti culturali a questo punto davvero necessari nel paese.
“Ho delle idee. Ma quando si tratta di Saviano esse non sono ammesse. Ovvero: sono ammesse, ma bisognerebbe evitare di esprimerle.”
Hai riassunto in una manciata di frasi un pensiero che avrei voluto esprimere molto più verbosamente, rendendo superflui altri commenti. Il caso Saviano è emblematico. Ho letto addirittura qui: http://www.carmillaonline.com/archives/2010/06/003522.html
che i veri colpevoli della situazione in cui si trova Saviano non sarebbero i camorristi, ma tutti quelli che osino assumere una posizione critica nei suoi confronti («Non è colpa dei clan, dei Casalesi, della camorra: loro devono minacciare e uccidere, così esercitano la loro peculiare egemonia culturale e militare. Sono quelli che pensano che sei un esibizionista, che hai sfruttato brutte storie per fare quattrini, che ti sei arrampicato su quell’albero lurido e avvelenato soltanto per svettare. Loro è una colpa grave, nostra è una responsabilità non occultabile. Sono quelli che, galleggiando nella melma del cattivo “buon senso” e dei più vieti luoghi comuni, ti regalano la peggiore delle condanne: appunto una estrema, indicibile solitudine, quella che mette in apnea un’età, un’esistenza nata per cantare la libertà, un corpo che voleva solo danzare la vita»).
Non riesco a capire. Non erano questi gli alfieri della libertà di espressione? E dunque questa libertà di espressione agisce solo in un senso, va bene se usata nei modi ammessi e da costoro ritenuti leciti, altrimenti si diventa addirittura dei criminali peggiori dei cammoristi stessi?
Onestamente Saviano non mi convince e non mi ha mai convinto, trovo “Gomorra” un libro brutto, così come tanti altri lo trovano bellissimo, solo che adesso se oso dirlo, mi trovo bollato alla stregua, anzi peggio, di un camorrista.
Decisamente qualcosa non torna…
Lo aveva sostenuto Vendola, mi pare, sì.
È così, non so proprio che dire.
Ho letto il libro di Dal Lago, e come ho già scritto non entro nella sua analisi del libro Gomorra, perché un libro è quel che è, piace oppure no, e punto e stop.
Però non mi è sfuggito che Dal Lago ha riportato, criticandoli, alcuni passaggi di scrittori italiani quotati, e che quegli scrittori italiani quotati hanno replicato a Dal Lago censurandolo moralisticamente per aver trattato male Saviano. Neanche una parola – mi sembra: però, invece, alcune prese di posizione in questo senso potrebbero ben essermi sfuggite – sul fatto che Dal Lago aveva criticato loro.