karch, lorenzo, julio e perfino io

Da casa sento gente cantare e urlare, là a quella festa della birra in piazza Bra.
Non mi piace. Mi fa sentire insensatamente vulnerabile.

Poco fa m’è venuto in mente chissà come Karch Kiraly, il più grande pallavolista del mondo, credo.
L’idolo di quando giocavo.
E poi ho pensato a Lorenzo Bernardi, un altro gigante.
Non per caso la federazione internazionale li ha guidicati i migliori giocatori del ventesimo secolo.

Com’era diversa la pallavolo.
Si arrivava a quindici, c’era il cambio palla, c’era quel fantastico uomo di Julio Velasco, la battuta non poteva toccare la rete e non si poteva murare, non esisteva il libero, non si potevano usare i piedi…

A volte provo la sensazione fisica di un bagher, di un’alzata, di un tuffo. Sento il rumore delle scarpe che stridono sul parquet o sul sintetico; lo schiocco della mano sulla palla in battuta; sento il contatto con la superficie del cuoio del pallone, teso e morbido. Mi sento volare verso la rete, andar giù a terra petto in avanti per recuperare una palla.
Fan****.
Che nostalgia.
Che desiderio di avere il mio corpo di allora, quello che faceva quelle cose lì.