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giornalismo da paura
Dal Corriere, qui:
Allo studio la possibilità di accelerare il processo di trasformazione dei Monopoli in agenzia fiscale, proprio nell’ottica di renderne più efficace l’attività di controllo sul fronte tributario. Uno sviluppo per l’attività dei Monopoli, quello disegnato dal pacchetto antievasione, che renderà necessario un incremento del personale, oggi fermo a 1.300 dipendenti: bisognerà arrivare almeno a 2.500, secondo il piano aziendale del’Amministrazione.
Il «proprio nell’ottica di renderne più efficace l’attività di controllo» indica con allarmante chiarezza l’incapacità di distanza critica del giornalista da ciò che gli viene detto dalla fonte (agenzia o governo, non importa).
Sotto le spoglie delle neutralità tecnicista, il pezzo gronda acquiescenza ai voleri del sire; fa niente che il sire non sia uno ma un intero esecutivo.
È un giornalismo zerbinizzato, dimentico delle proprie responsabilità professionali, del proprio compito di tenersi distante. «La spesa pensionistica è sotto controllo», viene scritto.
Può essere. Può essere benissimo. Ma se è così, perché non mi viene riportata la fonte di questa considerazione?
Chi lo dice che la spesa pensionistica è sotto controllo?
Il governo?
Le agenzie internazionali?
Il giornalista?
L’Ansa?
Io lettore ho il diritto di saperlo, perché su ciascuna di queste possibili fonti posso avere maturato un giudizio critico che mi consente di misurare l’attendibilità di quel che leggo».
Chi parla di pluralismo, chi dice che la libertà di stampa non è affatto sotto attacco, e pure chi – come la bella addormentata nel bosco – si sveglia solamente quando il principe (cattivo) di un nuovo provvedimento del governo gli fa perdere la serenità del sonno sottovaluta quanto chiaro, lampante, drammatico e indecente sia l’asservimento del giornalismo al potere.
Dal giornalismo piccolo al giornalismo grande.
C’è, è chiaro, chi si salva.
Ci sono i signorini grandi firme, e anche i piccoli oscuri colleghi che battagliano a suon di gastriti, coliche, travasi di bile, depressioni clinicamente diagnosticate, ipertensione, crisi d’ansia.
Ma è da questi pezzi apparentemente non importanti che si capisce che cosa sia, oggi, la stampa in Italia; quale sia il livello di penetrazione del potere nei meccanismi che governano l’informazione.
Dite qualcosa, voi che fate sindacato.
Agite, voi che siete l’ordine.
Alzate la testa, colleghi
E pensateci, voi che organizzate festival del giornalismo.
Pensateci, voi che crocefiggete di Libero e Giornale e non volete guardare quello che stanno facendo – uguale preciso, ma enormemente più dannoso perché protetto dalle insegne di una pretesa neutralità, di un’aurea credibilità – altre gloriose testate.
Pensateci, voi intelligentoni per i quali il problema è sempre e solo il conflitto d’interessi, e non anche la capacità di penetrazione di poteri piccoli e grandi nelle redazioni; la loro capacità di scrivere – addirittura scrivere, sì – quel che esce sui nostri giornali.
Pensateci, voi direttori che, certo, prendete lo stipendio dalla proprietà ma siete ancora – dannazione – iscritti all’ordine.
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