basta festival, basta fan

Continuo a ricevere inviti a farmi fan di ogni tipo di festival. Oggi è il turno del festival della formazione.
Ecco.
Per essere molto chiara, vorrei dire due cose.

La prima è che, in generale, non ho il fisico per accettare il meccanismo del «diventare fan». Non sono in grado. Fatte alcune marginali eccezioni, ovvio.

La seconda è che la forma del «festival», secondo la mia modestissima opinione, serve primariamente a dare visibilità/accreditamento a persone che desiderano diventare personaggi. Perciò, il festival non mi piace affatto. Non mi piace il festival delle città-impresa o come diavolo si chiamava, perché non capisco il legame che c’è fra città e impresa, e non mi piace il pan-aziendalismo.
Non mi piace il festival del giornalismo perché sta alla realtà quotidiana del giornalismo come Simona Ventura sta a Audrey Hepburn (ma purtroppo la realtà quotidiana del giornalismo non ha né la grazia né la bellezza di Audrey; ne ha solo la complessità di sfaccettature).
Non mi piace il festival del giornalismo d’inchiesta perché è la celebrazione della morte del giornalismo d’inchiesta.

E adesso, per cortesia: non mi chiedete più di diventare:
a) fan di scrittori viventi (e non goliardici);
b) fan dei festival.

Ah. Sono certa che nessuno ne soffrirà, e che non importerà assolutamente niente a nessuno, e che anzi altra gente sarà felice di dire che sono stronza.
Però a me farà abbastanza bene.