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senza luce (ma con rosa rossa)
Sono andata in libreria a sentire Luigi Bernardi parlare del suo romanzo «Senza luce» (che consiglio).
La serata è stata carina.
Le file dalla seconda in poi erano occupate dal parterre che ci si aspetta in simili occasioni.
La prima fila era fantastica: una tipa d’una certa età che dormicchiava; un’altra con un cappello da baseball; e un ragazzo anch’egli a testa coperta.
Il ragazzo, sentito che Bernardi parlava del bar di cui ha scritto nel suo libro, gli ha fatto una domanda: «Scusi, io il libro non l’ho ancora letto: però mi spiega cosa c’entra il bar?».
Aveva l’aria di volerglielo chiedere in tutt’un altro modo – tipo «ma che cazzo c’entra il bar col tuo fottuto libro? Cazzo vuoi sapere, tu, dei bar?» – però non ho capito perché.
Reduci come eravamo da alcune considerazioni intorno all’insensatezza della scrittura come missione, o come terapia, o come modo per cambiare il mondo, a me quei tre tipi son piaciuti un casino.
E la torta alla fine della presentazione era spaziale.
Alla fine, fuori dalla libreria è passato un tipo che vende fiori, e ho preso una rosa rossa per Marco.
Poi è passato un ragazzo brasiliano – neanche male, ma un po’ fuori – che chiedeva soldi, «anche un centesimo», ma se n’è andato danzellando con l’unica cosa che uno di noi chiacchieranti è stato disposto a dargli, cioè una sigaretta.
Sono tornata a casa prima che fosse troppo tardi.
Non dico di orario.
Dico prima che mi venisse da pensare che Verona è una grande metropoli.
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