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piccoli jet-lag
Da qualche giorno ho cambiato orario di lavoro. E anche lavoro, per la verità. Sempre nello stesso giornale, ma in un’altra redazione.
Dopo diciott’anni di lavoro notturno, sono in pieno jet-lag.
Mentale, fisico, emotivo.
Mi sento confusa, e l’unica cosa che fino ad ora mi è chiara è che – perlomeno per adesso – con questi orari mangio meno.
Non mi ritrovo più davanti ai distributori automatici di cibarie impacchettate a guardare le prigioni dei crackers dei biscotti e dei panini con l’aria persa e gli occhi vuoti e incerti.
Non sono ancora riuscita, come invece avrei voluto, ad andare al cinema o a cena fuori, né ho ancora invitato amici a cena.
Però ho già visto due dvd, uno dei quali è Nel Nome del Padre, con uno spaziale Daniel Day Lewis.
Bazzico molto meno Facebook, ma questo è un processo che era già cominciato prima.
Non c’è niente da fare: il volto che di sé presentano le persone su Facebook a volte mi indispettisce, mi irrita.
Ho perso il conto dei «nascondi» che ho cliccato.
Mi fa sentire meglio.
E io ho veramente bisogno, veramente, di sentirmi meglio.
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