il μάρτυς sa(n)viano

Berlusconi incolpa la Piovra, quel vecchissimo sceneggiato, e Roberto Saviano di aver reso celebri la mafia e la camorra.

Il semplice sottinteso che se l’occhio che non avesse visto il cuore non avrebbe sofferto è talmente ridicolo e grossolano da non meritare nemmeno un po’ di attenzione critica.

Il che, naturalmente, non significa che – siccome è un’evidente idiozia – se ne faranno convincere in pochi.

È la solita tirata propagandistica sull’anti-italianità.

L’Italia sarebbe meravigliosa, il Paese più bello del mondo e delle galassie, il luogo più ameno e sicuro in cui far crescere i propri figli; l’Eden, il paradiso.
Se solo – dannazione – non ci fosse chi, scelleratamente e da disfattista, ne parla male.

L’argomento – ahimé – funziona.
S’è visto.

a migliaia

Quel che però mi ha colpito è la rapidità con la quale – come un sol uomo – si è istantaneamente composto il folto drappello dei difensori di Saviano.
Sul ghiotto boccone, Repubblica s’è gettata con la sua solita rapida voracità.
«Grossman e Rushdie: “Irresponsabile”», c’è scritto in homepage.
E anche «Centinaia di messaggi per Saviano».
Sono disposta a scommettere qualcosa che domani i messaggi saranno migliaia.

ragnetti debosciati

Non è amore per la «terza via» in se stessa; però mi domando: è mai possibile che di fronte a un’idiozia del calibro di quelle a cui Berlusconi ci ha da lunga pezza abituato ci sia un unico modo per reagire, ovvero aggrapparsi come piccoli ragni pigri e debosciati alle esili tele della non politica?

il bisogno del martire/testimone

Capisco che se Berlusconi attacca Alvaro Vitali – absit iniuria verbis, per carità: mi serve solo a estremizzare l’esempio per renderlo chiaro – io tendo a difendere Alvaro Vitali perdonandogli perfino le flatulenze della finzione cinematografica.
Però quel che mi inquieta è questo bisogno di profezia, quest’ossessione per il μάρτυς, il «martire», cioè «testimone»; quest’idea che noi tutti abbiamo bisogno di un vate a cui accodarci lungo le curve e le salite di qualunque strada su cui a lui piacerà condurci.

il condottiero

Ci scatta spesso automaticamente quest’arietta di superiorità nei confronti di chi riesce a pensare a Berlusconi come al suo condottiero senza macchia e senza paura; come all’uomo che – pur dicendo cazzate stratosferiche come «l’amore vince sull’odio» – merita fiducia, devozione, e genuflessione.

terroristi? a tutela dei casalesi

E poi, dietro alle insegne di un giovane uomo che dice che i terroristi hanno «distratto l’attenzione da quello che combinava la criminalità organizzata e la politica corrotta» (come se prelevare i fatti dai loro contesti e ricollocarli nei nostri contesti fosse una cosa ovvia e corretta), noi furbissimi e incorrotti volponi di sinistra ci accodiamo con entusiasmo privo di incertezze.

prima di me, il deserto

«I giudici dicono che la ‘ndrangheta è entrata in Parlamento», lui dice. «È un’affermazione terribile: proviamo a fermarci un momento e cerchiamo di capire cosa vuol dire». Parla come se prima del suo invito a fermarci a riflettere non ci fosse mai stato altro che il deserto, e noi – dietro a questo ragazzo dalla fronte mobile e tormentata – sfiliamo con convinta adesione.

il killer e le pastarelle

Lui dice che «le parole usate dai killer hanno un sapore irriproducibile e superano ogni immaginazione. Sono colme di un’aberrazione che spaventa perché inserita nei tempi e nei gesti quotidiani. Si uccide tra un caffè e una guantiera di dolci, si parla di sparare in faccia come si commenta una partita», come se – invece – un killer dovesse piangere e strapparsi i capelli prima di uccidere qualcuno; ovvero, in definitiva, non essere un «killer»; e nelle mani di quest’uomo noi mettiamo fiduciosi il nostro destino di onest’uomini; perlomeno il nostro destino a breve termine…

un’idea di comunità

E tutto questo senza renderci conto che, su altre strade, in un’altra città (e mi si obietterà che questo non è irrilevante; è vero, ma non è nemmeno – purtroppo – rilevante), stiamo facendo lo stesso percorso che fanno i berlusconiani: cercare di percepirci comunità dietro a parole d’ordine che ci fanno sentir meglio.

… ma maroni… maroni, mio dio…

Chiaro – ripeto – che se devo scegliere fra Berlusconi e Saviano non ho un milionesimo di secondo di esitazione. Ma quando mi viene in mente che Saviano dice che Maroni è uno dei migliori ministri dell’Interno perché ha fatto arrestare tanti casalesi a me vengono i brividi. È più forte di me.
È Maroni quello delle impronte digitali ai rom di ogni età.
È Maroni quello della libertà d’ordinanza che ha messo il mio Paese nelle mani di sindaci scellerati il cui ego smisurato sognava dall’infanzia la stella di sceriffo appuntata al petto.

tutti all’ovile

Ma per Saviano al di là dei casalesi non c’è nulla.
È un po’ come i veronesi, a dirla con Shakespeare: «Non c’è mondo fuor di queste mura».
E noi dietro.
Come pecorelle dietro al cane pastore.
Ché tanto, in fondo, dobbiamo solo tornare all’ovile.
Mentre lui, e molti altri, per carità, useranno (vedi qui) «la parola per aggiustare il mondo».
Messianico.
Sì.