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ma sì, ribelliamoci allo scandalo!
All’interno, il pezzo è titolato così: «Ribellarsi allo scandalo», e l’occhiello tematico non dice «l’opinione», ma «l’analisi».
Si riferisce, insomma, a un procedimento più complesso di quello che partorisce una semplice opinione.
L’analisi è il distillato del confronto fra fatti e opinioni; è l’esercizio di connessione fra cose diverse; è il completare al posto dei puntini.
Ora.
È senz’altro responsabilità della Repubblica se in home page quel che dice Saviano diventa un proclama per la mobilitazione delle masse, e se la foto di Saviano lo ritrae nell’atto di un ampio gesticolare mentre parla al microfono.
Però è senz’altro ascrivibile a Saviano la scelta di parlare di un argomento come se fosse la prima volta che la gente ne sente parlare, e come se lui fosse il primo a inferirne qualche conseguenza.
Egli dice:
«I giudici dicono che la ‘ndrangheta è entrata in Parlamento. È un’affermazione terribile: proviamo a fermarci un momento e cerchiamo di capire cosa vuol dire».
È come se fosse la prima volta che Saviano sente dire una cosa del genere.
Come se solo dietro le sue insegne – dietro le insegne dell’uomo che ci invita a «provare a fermarci un momento» e a cercare «di capire cosa vuol dire» – noi potessimo essere accompagnati lungo un percorso che nasce oggi, e prima di sé aveva il deserto.
È vero che Saviano scrive anche:
«Sapevamo tutto. La criminalità organizzata prima crea zone dove il diritto non entra, poi si espande, pervade l’economia, si appropria del Paese, e infine entra lei stessa nello Stato».
Ma anche qui, a me viene da pensare che quel che finora noi sapevamo era che la criminalità organizzata prima fa una cosa, poi ne fa delle altre, e infine – adesso, ora, qui, e a dircelo sono le carte dei magistrati, e non la consapevolezza (o una valutazione) politica – entra in Parlamento.
Eppure, prima di Saviano c’è stata la Rete, c’è stata la rivendicazione della cosiddetta questione morale da Berlinguer in giù…
E cito le prime due cose che mi vengono in mente.
Non sto dicendo che la Rete o Berlinguer abbiano risolto il problema, è chiaro. E nemmeno che il loro lavoro sia stato utile alla sinistra (giacché a me è parso che a giovarsi della banalizzazione delle categorie politiche ridotte alla dicotomia onesto/disonesto sia stata infinitamente di più la destra, altrimenti fatico a spiegarmi Lega, Berlusconi e sodali).
Sto solo dicendo che quest’inchiesta non è l’anno zero dell’antimafia, o del disvelamento dei rapporti politica-mafia (e che, incidentalmente, non è colpa di nessuno se Saviano, avendo trent’anni, alcune cose non le ha vissute).
Sto dicendo che chiamare a raccolta le masse sull’onda di un «ribelliamoci allo scandalo» pubblicato sulla home page di Repubblica.it mi pare una terapia al più efficace contro la propria sensazione di inutilità (di ciascuno di noi, non di Saviano, che assolutamente non è inutile, e ci mancherebbe altro) che contro lo scandalo.
Sto dicendo che leggendo quelle parole mi viene in mente una campagna pubblicitaria.
Non un’idea di società (e torniamo all’idea della democrazia della paletta. Lo so: sono una pizza)
Sembra proprio che senza simboli, slogan o capipopolo non riusciamo a ragionare; oppure è quello che si cerca di farci credere.
Non è così per chi le domande se le fa e cerca anche di trovare qualche risposta.
Per molti altri però inseguire un tribuno è l’unica opzione.
E per il tribuno?