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down with facebook (cari i miei ipocriti)
Non è per amor di minimizzazione, ma a me questa notizia del gruppo che su Facebook aveva proposto il tiro al bersaglio contro i bambini down sembra una vera idiozia.
reazioni piccatissime
Anzi: idiote mi sembrano le reazioni indignate di gente come la ministra Carfagna che – come se avesse un potere autonomo di propulsione dell’iniziativa giudiziaria – commentava senza timore di apparire quantomeno improvvida che quegli stolti sarebbero stati senz’altro perseguiti.
Certo, mi vien da dire: fino a che lascerete che l’azione penale sia obbligatoria, sarà perseguito chiunque un magistrato inquirente ritenga aver commesso un reato.
la barbarie
Comunque.
Al di là della Carfagna, mi pare completamente insensata e semplicemente conformista la dichiarazione di chi – con quell’allarmismo da benpensante che è in svendita da decenni sulle bancarelle di tutti i mercatini rionali – si spinge fino a parlare di barbarie, a dire che «simili fenomeni non devono essere sottovalutati ma devono, anzi, essere presi sul serio».
siamo diversi, ma siamo uguali
Domanda: come si fa a prendere sul serio «simili fenomeni»?
Chiudendo i gruppi su Facebook, forse?
O dicendo stronzate come quella che ho letto ieri, propalata da un gruppo che mirava a far cancellare gli anti-down dal web? La stronzata a cui mi riferisco recitava, più o meno, che i bambini down sono bambini perfettamente uguali a tutti gli altri.
negare la diversità
Ecco.
Come si può essere così ipocriti da pensare che sia lecito negare l’identità di una persona, negare la sua specificità, negare la sua diversità, unicamente a causa della propria incapacità di riconoscere l’altro nella sua differenza e di accoglierne la ricchezza ma anche le miserie?
la comoda ortodossia che nega la realtà
L’ortodossia e la finzione del nostro discorso pubblico sono insopportabili, credo.
Mio fratello è handicappato.
Se qualcuno mi dice che è normale, esattamente uguale a me, per prima cosa lo invito a comperarsi un paio di occhiali, e subito dopo gli chiedo di rispettare mio fratello. Di accettare l’idea di vederlo. Di riconoscerlo per quel che è senza fingere che sia trasparente solo perché non ha le palle per guardare le persone e le cose per come esse effettivamente sono.
un po’ di platonismo di ritorno
Solo perché non ha il coraggio di aprire con lui – e con me – una relazione autentica di qualche tipo; una relazione che ci considera veri, e non ologrammi o idee platoniche: l’idea platonica dell’handicappità e l’idea platonica della normalità.
«quanto hanno da darci quei bambini»
L’indignazione a buon mercato mi fa ribrezzo.
Scrive qui Severgnini, in una delle rare occasioni in cui non smercia spiccioli di sagace ironia: «Forse qualcuno capirà quanto hanno da darci, quei bambini».
l’handicappato è utile perché ci dà tanto
Già.
Io voglio domandarglielo: quanto hanno da darci, Severgnini, quei bambini?
Forse han da dare qualcosa a quelli che non si ricordano dell’esistenza della diversità se non quando qualcuno gliela sbatte in faccia.
Forse tutti questi handicappati regalano più facilmente meraviglie e patrimoni a chi non si sobbarca il costo fisico, emotivo e sentimentale di viverci accanto, con il terrore per il loro futuro e l’angoscia per il loro presente.
facciamo finta…
Queste storie danno veramente il meglio della nostra società.
Non sottovalutare il fenomeno, dicono.
Quale fenomeno, esattamente?
Il fatto che la vita degli handicappati è marginale, residuale?
Il fatto che – come ho già detto qui una volta – sono destinati ad aspettar la morte nei corridoi della vita?
No.
Naturalmente questi problemi son troppo seri perché si possa pensare non dico di risolverli, ma nemmeno di affrontarli seriamente; il che – poi – vorrebbe dire politicamente.
… che abbiamo la bacchetta magica
È tanto più semplice fingere che cancellato il gruppo dei bastardi su Facebook tutto torna al suo posto come nelle fiabe.
È tanto più bello pensare che una bella punizione esemplare ai fondatori e ai membri di questo gruppo risolve le sfighe dell’handicap con una bacchetta magica.
grazie a chi?
Ma tu pensa se devo sentire una come la ministra Carfagna che dice «ringrazio la polizia postale per la tempestività» con cui ha rimosso il gruppo, quando poi nemmeno si sa se il gruppo sia stato rimosso dai fondatori, cancellato dai gestori del server, o oscurato dagli stessi gestori ma su richiesta delle autorità.
Non si sa. Ma lei parla lo stesso e ringrazia.
il tesoro più grande
E che dire di quelle associazioni che commentano così?
«E che il nostro sia, o possa essere, un Paese civile lo testimoniano invece le migliaia di famiglie che accolgono i propri figli disabili (…) oggi certamente ferite nella loro vita quotidiana: quelle famiglie che riescono a dire, con coraggio e dignità, che i loro figli disabili non sono un problema, ma sono il loro tesoro più grande».
discepoli e maestri
I loro figli disabili non sono un problema ma il loro tesoro più grande?
Certo: un figlio è ciò che di più grande ci sia, per moltissimi di noi.
Ma che un figlio handicappato sia un tesoro in quanto handicappato, be’, questa è pura ipocrisia.
Un figlio handicappato non ha da insegnare assolutamente niente se non quello che un genitore – o un essere umano che ha con lui una relazione – è disposto a farsi insegnare.
E chissà perché, poi, un gruppo su Facebook «ferisce» le famiglie «nella loro vita quotidiana».
il mercato della colpa
«Accogliere», dicono.
«Accogliere i propri figli disabili».
E se un genitore sta male?
Se non riesce ad «accoglierlo» con la meritoria e sacrale leggerezza che queste meritorie e sacrali associazioni invitano a riscoprire?
Che succede se il cuore di un genitore si schianta, invece di riempirsi della gioia di un imprevisto tesoro?
Succede che quel cuore si sente in colpa.
Succede che quel genitore pensa di non aver diritto a vivere, perché non sa nemmeno spontaneamente accettare quel figlio, senza fare nessun lavoro su di sé, sulle sue aspettative, sulla revisione della propria identità di essere umano e di genitore.
Succede che quel genitore si sente un genitore snaturato.
che responsabilità
Con la complicità di tutte queste anime belle che – nascondendo perfino a se stessi quanto grave e pesante e angosciosa sia la vita con un figlio o un parente handicappato – continuano a ripetere che chi trova un handicappato trova un tesoro.
Vergogna.
Per me questa storia dei gruppi razzisti eo discriminatori su facebook è banale disinformazione e se non nascessero spontanei le Carfagne di turno dovrebbero inventarseli, così come i pirati della strada, gli stupri dell’estate, le influenze aviarie o suine e così via.
C’è perfino chi teorizza l’indispensabilità di questo clima di ‘terrore’ o indignazione alle forme presenti del consumo. E forse ha ragione.
avrai bucato un incontro, ma accidenti che frusta! lo sai chiaro e nitido, quello che dici. lo dici forte, ad un centrimetro dalle facce, dalla mia, sento la saliva, cerco gli occhi e li evito, mi tieni lì, ci tieni lì.
Ipocrisia che conosco, di cui spesso mi sento parte, che tante volte cerco di abbozzare, di smussare, di limare. Si chiama in vari modi, in vari modi si fa avanti e si piazza nel mezzo, travestita. Può dirsi: razionalizzazione o mancanza di risorse o rispondere ai veri bisogni o aumentare il rapporto educatori/utenti o accorpare due comunità o fare economie di scala. Tutte cose vere. Tutte cose ipocrite.
A volte mi viene da scappare, da togliermi di mezzo e dal mezzo di queste parole, stare in posti dove non si usano, dove non dove scegliere la parola più efficace per dare un nome a quella che chiami ipocrisia.
Adesso devo preparare un documento, con le priorità del mio territorio nell’ambito della disabilità. Chissà cosa verrà fuori, dopo questa Federica!!?!
v
Voglio solo aggiungere una cosa che nel post non ho scritto: che lo cancellassero, quel gruppo, mi va anche bene. Nel senso che non mi interessa niente.
A me un tale su Facebook aveva chiesto quel che il gergo interno definisce l’«amicizia» ma risultava fan del gruppo Forza Vesuvio (o Forza Etna, non mi ricordo).
Ho rifiutato la gentile offerta di amicizia, perché di imbecilli ne conosco un numero che giudico soverchio rispetto alle mie necessità presenti di confronto con la diversità.
Ma con un cucchiaino non si svuota il mare.
Fino a che circolerà – acquistata e soprattutto ammirata – una rivista feudale e offensiva come il Corriere della Sera Style Magazine, io continuo a credere che non ci sia niente da fare.
Fino a che la Clerici chiama la gente sul palco «principe» o «maestà», è finita.
Altro che cancellare quel gruppo su Facebook.
Il mondo straripa di merda, e noi continuiamo a vedere solo le porzioni di merda che danno meno fastidio ai nostri occhietti asserviti alle nuove maestà e ai nuovi principi in forza del nostro ruolo di valvassino.