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un libro che brucia
Mi guardava dallo scaffale della libreria, stamattina.
«Lettera di una sconosciuta» di Stefan Zweig è un libro che brucia.
«A te, che mai mi hai conosciuta», si leggeva in alto, a mo’ di apostrofe, di intestazione. (…) Ed egli si mise a leggere:
“Ieri il mio bambino è morto. (…) Per tre o quattro ore ho ceduto al sonno su quella seggiola rigida, e nel frattempo la morte se l’è portato via. (…) Non ho il coraggio di guardare, non ho il coraggio di muovermi, perché quando la fiamma delle candele vacilla, sul suo volto e sulla sua bocca serrata si rincorrono le ombre, ed è come se i suoi lineamenti si animassero, e mi verrebbe quasi da pensare che non è morto, che può risvegliarsi e dirmi qualcosa di puerilmente affettuoso con la sua voce argentina. Ma io lo so, è morto, non voglio più guardare da quella parte, per non lasciarmi prendere ancora una volta dalla speranza, per non ritrovarmi ancora una volta delusa. (…) Non aver paura delle mie parole: una morta non vuole più nulla, non vuole amore, né compassione né conforto”.
non so se lo leggerò mai. mi ha fatto un po’ paura. vado di sopra dalla mia bambina adesso. dovrei essere più intellettuale, come dice Battista, ed indipendente dal bruciare. Invece brucio. Sì Federica, la fiammella è piccina, ma indubbiamente è fuoco.
v
In realtà, a parte la questione del fuoco e del bruciare, la morte del bambino (e quella della donna che scrive la lettera a questp romanziere famoso che non l’ha mai conosciuta) sono solo un pre-testo, nel doppio senso di narrazione chiusa in se stessa preliminare alla storia di cui si racconta, e di eventi che fanno da movente.
La storia racconta di altro.
Solo che il pretesto mi era sembrato sublime, per la sua asciuttezza.
Mi devo parzialmente correggere. La storia non racconta, tecnicamente, di altro.
Racconta di quello, ma asserisce un altro punto: l’assenza di riconoscimento.