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un folletto di nome cristina
Cristina aveva i capelli rossi.
Li portava raccolti in una lunghissima treccia, come mia nonna, e poi avvolgeva quella treccia dietro la nuca.
Sembravano capelli rossi da irlandese, ma invece erano capelli rossi irpini.
Cristina conosceva tutte le erbe, dall’origano a quelle curative e balsamiche, e andava a raccoglierle per tenerle da parte e usarle quando servivano.
Se occorreva le regalava.
Faceva le conserve, e portava i suoi barattoli di melanzane un po’ a tutti.
Quando le mie vacanze dai nonni stavano per finire, il tam tam gliene faceva arrivare la notizia.
Lei, allora, si presentava con erbe e conserve per mia madre, e con biscotti, cioccolata e caramelle per me.
Penso che di dolci ne comperasse moltissimi, e li mettesse da parte per le necessità mondane di paese come questa della mia partenza, perché quei dolci erano sempre un po’ vecchi e stantii.
La cioccolata al latte aveva venature chiare come succede al marmo; i biscotti non erano più croccanti.
Però, cascasse il mondo, lei veniva sempre a salutarci.
Le mancava un dente davanti, o forse perfino due, e io ho sempre pensato che li avesse persi in una monelleria.
Quando rideva – e rideva spesso, perché era allegra – si metteva la mano davanti alla bocca per chiudere quel buco.
L’ho sempre vista fisicamente vecchia, anche quand’era giovane, ma in realtà magicamente bambina. No. L’ho sempre vista come un folletto che mi era coetaneo.
Ogni volta che in paese c’era qualcuno che stava per morire, Cristina andava e lo accompagnava a passare da qui a là. «Non aveva nessuno», diceva con due occhietti voraci. «Ci sono andata io».
Non sembrava turbata dall’aver tenuto la mano a tante persone morenti; dall’aver accarezzato tante fronti bagnate dal sudore per la fatica disumana dell’ultimo sforzo.
Quando lo raccontava sorrideva. In un modo molto serio, ma sorrideva.
Aveva la pelle un po’ ruvida, ma di ruvido io non le ho mai visto nient’altro.
Era una nipote di mia nonna.
Questo vuol dire che era una cugina di mia madre, lo so. Ma lei apparteneva al mondo di mia nonna, non a quello di mia madre.
Era un folletto eterno che veniva da un prato pieno di erbe, che andava a raccogliere di notte.
Ieri mattina stava bene.
Poi, all’ora di pranzo, è morta.
Non so chi era con lei, ma spero che tutti quelli che lei ha accompagnato a morire le siano stati vicino e le abbiano fatto strada.
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