Tags
Related Posts
Share This
lo stile e le storie
Ascoltando The Angel Share di Ailie Robertson con una tazza di latte bollente mescolato a miele e whisky del Connemara – parola d’onore: non una cazzatina qualunque – per cercare di limitare i danni di un raffreddore da panico che spero non si abbassi a gola e bronchi, riflettevo su una cosa.
Riflettere forse è un verbo improprio, se non altro perché questo whisky del Connemara fa 52 gradi (all’ombra o al sole è uguale) e l’assetto neuronale tende a risentirne con rapidità.
Però.
Stavo pensando all’importanza della storia, dell’intreccio, della trama, in un libro; se di finzione o no, non fa differenza.
A me piace molto leggere cose scritte in una bella lingua, con una loro bella musica interna.
Ma molto di più mi piace leggere belle storie – intese come tragitto di fatti ed emozioni da «a» a «b» – ben scritte.
Mi piace «sentire» e capire nello stesso tempo.
Non sopporto l’estetismo, la prosa esangue, o al contrario il giro di frase barocco e sinuoso come un testiera di letto di ferro battuto.
Non mi piace vedere in trasparenza l’autocompiacimento di chi ha scritto.
Mi sembra inutile e senza eleganza.
Nella prosa – perché la poesia è un’altra faccenda – non mi piace una frase che può significare una cosa, oppure un’altra, o un’altra ancora.
Non mi piace l’ambizione al Perenne, al Sacro, al Divino.
Non mi piace la rarefazione.
Non mi piace l’orrido splatter ma neanche l’orrido-minimalista, quello che «l’orrore è nelle cose, io non devo fare altro che descriverle con il distacco di un obiettivo fotografico»; e neppure l’estroflessione dei visceri con gocciolamento di sangue annesso.
In quel che leggo mi piace che ci siano carne, e storia, e cose che succedono.
Non solo pensieri, o pensieri sulle cose che succedono, piccoline laggiù sullo sfondo, banali pre-testi che danno il la al genio.
Non mi capacito del motivo per cui quelli molto fighi pensano che le trame siano preoccupazioni volgari, da piccolo-borghese dell’universo letterario; che i libri con una trama siano letteratura bassa.
Ma forse non capisco per colpa del whisky del Connemara.
Essere astemi ha i suoi svantaggi.
E pensare che tanta gente che scrive rende meglio da ubriaca…
oh sì, sono d’accordo.
anche se a volte ci sono scritture piane piane che ti fanno disperdere tra le linee nitide dello stagliarsi delle cose!
v
Eh. Che sia quel che chiamo la «rarefazione»?
Metà della lezione di Scrittura di ieri è stata dedicata a commentare questo post, di cui avevo inviato un link ai miei compagni. Sembrerebbe descrivere gli obiettivi del nostro corso 😉
Non che poi trovare storie da raccontare sia facile…
Che onore…
L’insegnante del workshop di Dublino diceva, articolando il pensiero, che si può raccontare una storia su qualunque cosa.
Cosa ne avete concluso, voi alla lezione?