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la rimozione del proprio passato
Al di là dei comportamenti dell’ex sindaco di Bologna Delbono che s’è dimesso oggi, mi domandavo una cosa: ma veramente è così difficile accettare la fine di un amore con un minimo di grazia?
Veramente non si riesce a pensare che sputare su un amore passato – e pubblicamente, poi (ma non sto minimizzando le ipotetiche responsabilità di Delbono, eh) – equivale al misconoscimento di un pezzo della propria vita?
A me viene da fare lo stesso pensiero che faccio quando qualcuno mi dice di avere chiesto o ottenuto l’annullamento del suo matrimonio alla sacra rota: ma com’è possibile anche solo pensare di rimangiarsi un pezzo di vita dimenticandosi i perché delle proprie scelte?
Com’è possibile pensare di cancellare una porzione della propria storia che ha senz’altro avuto le sue buone ragioni per essere vissuta (e magari anche per essere finita male, ma questa è un’altra faccenda)?
Perché non si accetta semplicemente che è andata com’è andata e buonanotte, abbiamo davanti il futuro?
Chissà se la pensa così anche la Gelmini (alla quale faccio gli auguri, per carità)
🙂
Ma il primo matrimonio del marito è stato annullato?
scherzi a parte, il tuo discorso apre le porte a un pensiero che, in Italia soprattutto (sto parlando delle democrazie “occidentali”) è ancora allo stato larvale: in fondo, sono solo pochi decenni che il divorzio è entrato a far parte del nostro ordinamento civile. In fondo, ancora la potente agenzia Cultuale che è la nostra cattolica, impedisce, di fatto ai divorziati di comunicarsi.
Ma a parte ciò. Dovrebbero essere inventati i matrimoni a scadenza rinnovabile. Rari sono i casi di coppie che resistono. Troppi richiami. Là dove ci sono i soldi e potere è ancora più facile separarsi, cambiare, finire.
Ma, soprattutto, difficilmente ci si accorge di essere in due a volerlo. Difficilmente si prende la decisione insieme di strapparsi di dosso. C’è sempre uno/a che fa il primo passo e l’altro/a che lo subisce come un affronto, come un fallimento. Fallimento che tributa subito all’altro. E subito s’indossano i panni della vittima. E poi ci sono spesso i figli, i parenti, gli amici, le varie fazioni e il dramma cresce e s’ingrossa e il vinto senso di colpa di colui/colei che ha preso la decisione si fa ancora più minimo, svanisce d’incanto; di pari passo cresce, invece, cresce la rabbia di colei/colui ch’è stato lasciato, che vuole fargliela pagare a quel/quella maledetto/a.
Ripeto la soluzione: precarizzare i matrimoni con contratti a tempo determinato li renderebbe, forse, più appetibili. All’avvicinarsi della scadenza, la coppia si mette a tavolino e… decide di nuovo se continuare e impegnarsi con la persona alla quale avevamo giurato di amare fino a quel giorno lì.
Mah.
Io penso che la rabbia sia normale, ma bisognerebbe avere abbastanza amore per se stessi da non farne un affare pubblico (il nostro ex compagno l’abbiamo scelto noi, dovremmo assumrcene la responsabilità).
Sull’idea della scadenza, ti dirò la mia: se io pensassi che il mio matrimonio è una scelta fatta una volta per tutte credo che non riuscirei a starci dentro.
A me sembra di dover rinnovar la mia scelta ogni giorno.
Ho scelto il matrimonio civile non solo perché non sono sicura che esista dio – e comunque non mi piacciono i preti – ma anche perché nel rito civile nessuno ti chiede di dire che è per sempre.
L’unica garanzia che una cosa regga è che la si possa scegliere liberamente giorno dopo giorno, nella consapevolezza che nessun giuramento ti tiene lì.