giornali e razzismo/2: l’italianità e il classismo

Riporto qui un’Ansa di ieri sera perché si collega alla questione già discussa qui, dibattuta qui e contestata qui:

HAITI: GIGLIOLA MARTINO, LA PRIMA VITTIMA ’ITALIANÀ /ANSA(SCHEDA)
(ANSA) – ROMA, 15 GEN – Gigliola Martino, 70 anni, nata a Port-au-Prince da genitori italiani, è la prima vittima ’italianà del tremendo terremoto che ha distrutto Haiti. Gigliola Martino, secondo le prime informazioni raccolte dal quotidiano ’La Gente d’Italià, sarebbe morta nell’unico ospedale della capitale ancora in piedi dopo il sisma per le gravi ferite riportate nel crollo della sua abitazione. Il figlio, Riccardo Vitello e il cugino, Leone Vitello, erano corsi da lei a Bourdon, il quartiere residenziale che confina con Petionville, abitato prevalentemente da italiani, diventato oggi un cumulo di macerie. La signora viveva sola con due persone di servizio, una badante e un garzone. Era conosciutissima nella comunità haitiana, esponente di una delle due famiglie di oriundi più importanti dell’isola caraibica, i Caprio e i Martino, presenti ad Haiti da oltre un secolo, quando, ai primi del ’900, arrivarono insieme a Port-Au-Prince, Ernesto Caprio e Gennarino Martino. Pur nata così lontana, Gigliola Martino era un’italiana vera, che continuava a parlare la lingua di Dante. Faceva ancora la pasta in casa, che condiva con il ragù ogni domenica.

Allora.
Gigliola aveva 70 anni, ed era nata ad Haiti da genitori italiani.
Se nel terremoto dell’Aquila fosse morta una donna di 70 anni nata all’Aquila da genitori marocchini, credo che nessun giornale avrebbe scritto che era morta una donna marocchina.

Così mi sono domandata cos’è che dovrebbe trattenere un giornalista dallo specificare la nazionalità di una persona, e invece gli consente, nel caso di Gigliola Martino, di specificare l’identità italiana di una donna assai più haitiana, verosimilmente, che italiana.
E questo senza che nessuno dica «ehi, ma se dici che è italiana forzi la sua identità!».

Mi son data qualche risposta.
In primo luogo, qui c’era da far stringere cuori, da provocar commozione, da sviluppare l’empatia dei lettori, e allora definire la signora «una vittima italiana» era un modo veloce e sostanzialmente indolore, perché – tanto – fare il ragù alla domenica (come dice il dispaccio Ansa) è una cosuccia oleografica e carina dalla quale nessuno può sentirsi offeso (salvo, ma dev’essere un problema solo mio, coloro che non amano esser descritti oleograficamente).

In secondo luogo, Gigliola Martino è una vittima. E dunque, quando dal calduccio delle nostre casine noi possiamo compatire qualcuno sentendoci fortunati e baciati dalla sorte, be’, allora specificare la nazionalità di qualcuno non va contro nessuna regola politically correct.
Si può fare. Nessuno s’incazza.

Vorrei peraltro far notare che i famigli della signora Martino vengono del tutto privati di identità, come forme di vita protozoica. L’Ansa scrive infatti che «la signora viveva sola con due persone di servizio, una badante e un garzone».
Delle due l’una: o sola, o con due persone, ancorché di servizio.
Qui, però, nessuno che dica alcunché.
Il classismo è di moda.
Nessuno si scandalizza se alcuni cittadini vengono definite «persone di servizio».
Questo va bene.