crowdsourcing journalism?

Strawow.
Grandi, grandissime cose si muovono nel magnifico mondo del giornalismo all’avanguardia.
Ancora non mi son ripresa dal «citizen journalism», ed ecco che per la mia fame di novità è già pronto dell’altro nutrimento.

Leggo su Gigaom che l’ex New York Times Saul Hansell sta facendo per Seed.com un fantastico esperimento: sta cercando persone – persone generiche, sì – disposte per cinquanta dollari a fare interviste – un po’ ciascuno – a tutti i duemila gruppi che partecipano all’SXSW music festival.

Questa cosa qua – attenzione – la chiamano «crowdsourcing journalism», una cosa tipo «giornalismo di massa».

Ecco.
Cosa diavolo c’entrano duemila interviste da mille parole con il giornalismo: questa mi mancava.
Tanto più che, come spiega lo stesso Hansell, il progetto intende «attirare persone che sono già interessate al progetto, o perché vogliono intervistare qualcuno» (e questo è giornalismo?) «o perché sono fans musicali» (e questo è giornalismo?).

L’obiettivo – spiega – è capire se la gente pagherà per leggere questi contenuti, e se questi contenuti attireranno investimenti pubblicitari.

Crowdsourcing journalism, in effetti, suona molto meglio che dilettanti allo sbaraglio.
Tutt’un’altra musica.

Post scriptum.
Come spiega benissimo Francesco Piccinini di Agoravox in questo pezzo, il giornalismo partecipativo ha senso come «uno spazio che non è alternativo ma complementare al giornalismo professionale».