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l’autostrada dell’esclusione
Il ministro Matteoli dice che la Lega ha ragione: il limite dei 150 all’ora sulle autostrade va bene, ma ad alcune condizioni: che l’autostrada abbia tre corsie, che funzionino i «tutor», e che le macchine non siano piccole.
A me pare che tutti questi «sì» e questi «no» condizionati al rispetto di un certo numero di requisiti (in qualche caso arbitrari, come per esempio l’essere straniero) sia un movimento, quasi una marea, di esclusione progressiva invece che di inclusione.
Come se la politica dovesse occuparsi – impronte dei nomadi, panchine anti-poveri, reato di clandestinità… – solamente delle poche (e sempre meno) cose che accomunano poche (e sempre meno) persone, piuttosto che di quelle che appartengono a tutti come patrimonio comune di umanità.
Come se la politica fosse un continuo delimitare spazietti sempre più piccoli nei quali hanno il diritto di stare sempre meno persone, sempre più privilegiate, ad alcune sempre più restrittive condizioni, e gli altri che muoiano pure.
A conferma, ecco un brandello di affermazione di Matteoli tratto dall’Ansa:
«Non credo sia giusto né possibile che un’auto di piccola cilindrata e una più potente debbano per legge procedere alla stessa velocità in autostrada».
Mi ricorda tanto l’affermazione di Berlusconi nell’ultimo faccia a faccia televisivo con Prodi prima delle elezioni, in quella trasmissione in cui promise l’abolizione dell’Ici. Là, senza vergogna, davanti a tutti, Berlusconi disse che non è giusto che il figlio dell’operaio e il figlio del professionista abbiano, come vorrebbe la sinistra, le stesse opportunità.
Da questo punto di vista, la sua politica ha avuto un grandissimo successo: la diseguaglianza fra le persone è stata perfettamente interiorizzata dall’opinione pubblica.
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