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nuove ortodossie
«Persino chi è direttamente colpito» (dalla camorra, ndr) «sembra ormai rassegnato. “Uccidono tanta gente, hanno ucciso anche mio marito. Qual è il problema?”, risponde la moglie di Bacioterracino alla domanda di un giornalista. Infastidita che qualcuno le faccia una domanda sull’esecuzione, le chieda cosa prova. Non vuole neanche partecipare all’appello per identificare il killer. “Io non chiedo niente, se lo vogliono dire, lo dicono loro. Come faccio a chiederlo?”».
«Omertà non è più soltanto tacere. Ormai è chiaro che omertà è soprattutto non voler sapere. Non sapere, non conoscere, non capire, non prendere posizione, non prendere parte. Questa è la nuova omertà».
Questo – e molte altre cose, dunque sono perfettamente consapevole del fatto che mi fermo ad alcune spigolature e non tengo in conto la complessità dell’intero suo articolo – ha scritto Roberto Saviano su Repubblica, qui (sempre by arrangement with…) sul filmato dell’omicidio Bacioterracino.
Vorrei dire alcune cose.
Io trovo che non ci sia assolutamente niente di strano nella reazione di fastidio della moglie dell’ucciso alle domande del giornalista «sull’esecuzione» e sui suoi sentimenti dopo l’omicidio del marito.
Non vedo, anzi, come si potrebbe dare una reazione diversa.
Immaginiamo la scena.
Tempo fa è stato ucciso un uomo, viene diffuso il filmato in cui anche la moglie può vedere l’esatto momento preciso in cui la vita defluisce dal corpo del marito. Un giornalista va da lei e le chiede «scusi, cosa prova?».
Nel regno delle possibilità c’è anche la rassegnazione, no? Ci sta che lei dica «uccidono tanta gente, hanno ucciso anche mio marito».
Non solo l’hanno ucciso mesi fa, ma è pure da dire che questa donna sa benissimo di aver sposato un uomo di camorra. Sa che gli uomini di camorra possono essere uccisi. E sa che dal parlare con un giornalista – così ingenuo, peraltro, da domandarle una cosa come «cosa prova, signora vedova?» – non le può venire niente di buono; che nella migliore delle ipotesi quella conversazione non cambierà la sua vita di un ette, e nella peggiore la metterà a rischio.
Non so. Forse che la vedova di un militare in missione in Iraq o in Afghanistan non dice a se stessa, ogni tanto, anche a scopo temporaneamente consolatorio, «uccidono tanta gente, hanno ucciso anche mio marito»? O un giornalista che fa domande che mi permetto di giudicare inadatte al luogo e al momento deve per forza ricevere le risposte, e soprattutto le risposte che si aspettava, perché si possa dire che l’intervistato ha superato l’esame?
E quanto all’omertà.
Non mi sognerei nemmeno lontanamente di negare l’esistenza di una questione meridionale (come per altri versi resto convinta dell’esistenza di una questione settentrionale), ma a Saviano voglio domandare una cosa: ma veramente non si rende conto, o non gli interessa, o non gli pare rilevante dire, o suppone che non abbia alcun legame con ciò che ha detto, il fatto che è l’Italia intera a non voler sapere, a non voler sapere niente, a non cercar risposte se non quelle ideologiche che ha già deciso di avere?
Davvero Saviano non si rende conto (più tutta l’altra serie di formulette scritte prima) che quel che in questo Paese è successo è che nessuno vuole più prendere parte, prendere posizione?
Che l’unica cosa che conta, sui posti di lavoro, per le strade, nei gruppi informali non basati su affinità elettive, è mimetizzarsi con lo sfondo, non farsi vedere, non risultare agli atti?
Ps. La foto, per me bellissima, è uno scatto palermitano di Marco.
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