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la schiena diritta
«Piccola… La vedi com’è storta? Lo vedi quanta fatica fa a camminare?».
Davanti a loro c’è una vecchia che avanza ondeggiando lentamente, gobba e fragile, lungo via Leoncino, costeggiando l’Arena.
«Hai visto, mamma? È bravissima: sembra che cada a ogni passo, e invece resta in piedi e va anche avanti…».
Procedono tenendosi per mano, madre e figlio.
Guardano la schiena della vecchia, la sua giacchetta lisa e i suoi capelli così radi, arruffati e neri di tintura da farla somigliare a un tipo speciale di pulcino Ogm: un pulcino grandissimo, mai visto.
Seduti sugli scalini del municipio, due ragazzini si stanno baciando.
La vecchia si ferma.
«Ma non vi vergognate?», urla con un tono che contraddice la sottigliezza del suo collo, dei suoi polsi e delle sue caviglie.
I ragazzini la guardano.
Lui ha una maglietta bianca. Dalle maniche corte escono due lucide lunghe braccia dalla pelle marrone.
Ha i capelli neri, un fiacchissimo accenno di barba.
Lei ha la testa coperta da un fazzoletto.
Il bambino guarda la madre, e poi il ragazzino, e poi la vecchia. Infine, osa alzare gli occhi anche verso la ragazzina col fazzoletto. Forse gli piace ma si vergogna. Di sicuro, comunque, non capisce bene le cose, e stringe un po’ di più la mano della madre.
«Dovreste vergognarvi», riprende a strillare il vecchio pulcino gigante. «Ai miei tempi non ci si baciava mica per strada! E tutti questi stranieri, poi!».
Alla vecchia piace non fare più lo sforzo di camminare. Le piace, in fondo, l’idea che chi passa per piazza Bra, la piazza Bra della sua gioventù e degli anni della sua maternità, quando portava i bambini ai giardinetti, la possa sentire e vedere. Pensa che questo spettacolino le spetti; perché è ora di finirla.
A larghi passi le si avvicina un uomo massiccio.
«La g’ha rasòn», dice con rabbiosa convinzione al pulcino gigante. «La guarda là, sulle panchine visìn a la fontana. Tuti immigrati. Ormai in tuta la piassa no ghé n’è uno che ‘l parla veronese».
«Ah, sì, lo so», risponde la vecchia. «E dopo dicono che siamo razzisti. Le galere sono piene di stranieri, non si può più girare tranquilli, spacciano droga, fanno rapine. Non dico mica che sian tutti cattivi. Ma insomma, c’è da aver paura a andare in giro».
«E ela, po’, che l’è ‘na dona!», dice l’omone. «Mi sarò anca pensionato, ma so’ ancora bon de defendarme. I’è le done, mi digo, che le me preocupa, poaréte».
I ragazzini riprendono a baciarsi.
Il pensionato gira la testa: «Là gh’è un vigile, ‘speta che lo ciamo. Ah, bon, el sta vegnendo qua lu’».
Il pulcino gigante si assesta sulle gambe come per ritrovare un equilibrio di cui i muscoli sembrano avere perso la memoria.
«Cosa c’è?», chiede il vigile.
«I ragazzi, qua, son seduti sulle scale del municipio », dice la vecchia. «Non si può stare seduti sulle scale del municipio», spiega guardandosi in giro. «E in più si stanno anche baciando, e qua c’è pieno di bambini che vedono».
Il bambino guarda la mamma.
La mamma continua a tacere.
«Ragazzi», dice il vigile appoggiando piano la mano sulla fondina bianca della sua pistola. «Non potete star seduti qua. Via, andate via!».
«Sì», dice l’omone. «Andè via de qua, che de neri ghe n’emo in bisogno anche sensa voàltri. Èto capìo, ah, ragasso?».
I ragazzini si alzano.
Hanno un panino in mano. Per baciarsi l’avevano messo sulle ginocchia.
Guardano il vigile, l’omone, il pulcino gigante, la mamma, il bambino.
E stanno fermi, lì in piedi, mentre si avvicina un gruppetto di tre donne che spingono tre vecchi rinsecchiti, tutti contorti nelle sedie a rotelle.
«Sorry?», dice il ragazzo.
«Parli italiano?», dice il vigile.
«Ah, adesso i fa quei che no i capisse!», dice il pensionato.
«Eh, sì», dice la vecchia. «Troppo comodo!».
Il bambino guarda la mamma.
La mamma tace.
«Sorry, I don’t speak Italian. Maybe you do speak English, don’t you?», dice il ragazzo.
«No», dice il vigile. «Non parlo inglese».
«Lo parlo mì, l’inglese», dice l’omone agitando un dito con un movimento ampio. «El-vi-gi-le-l-ha-dito-che-ga-vì-da-nar-via-dai-scalini-e-tra-l-al-tro-no-se-pol-gnanca-magnar-i-paneti-su-le-scale-dei-mo-nu-men-ti, qua a Verona. Anderstènd? No scalini. Sca-li-ni. No l’è mia dificile, ah. No sca-li-ni-no-pa-ni-ni-no-ne-ri-no-stra-nie-ri. Andè a magnar panini a casa vostra. Ciaro?».
La ragazza col fazzoletto in testa prende la mano del ragazzo con la maglietta bianca e le braccia lunghe lucide e nere.
Mentre se ne vanno verso via Mazzini, lui mette una mano nella tasca posteriore dei jeans di lei.
Il vigile saluta e si incammina nella direzione opposta.
«Ala visto?», dice il pensionato al pulcino gigante.
«Ho visto sì», dice la vecchia. «I vien qua e dopo no i sa gnanca na parola de italian, e dopo vorìa vèdar se a casa lori i pol darse i basetti in piassa come qua. Qua noialtri le lasciamo libere, le nostre ragazze. Mica come loro, che se al padre non gli piace il moroso allora ammazza la figlia e la moglie lo difende anche».
Il bambino e la mamma riprendono a camminare.
Il pulcino gigante saluta l’omone, annuisce con solida energia, e comincia a muoversi di nuovo con lentezza, scombinando lentamente la distribuzione dei pesi che era riuscita a organizzare.
Il bambino si gira a guardarla.
«Mamma, guarda! Vòltati!», dice. «La vecchia non è più storta! Adesso la schiena si è raddrizzata!».
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