Tags
Related Posts
Share This
i nostri anni di piombo e merda
«È stata, la settimana di agonia di Stefano, una breve marcia attraverso le istituzioni.
Questo sono infatti, al dunque, le istituzioni: persone che per conto di tutti si trovano a turno ad avere in balia dei loro simili».
«Un pubblico ministero ha già imputato di omicidio preterintenzionale degli ignoti, ieri. I colpevoli non sono certo noti, e non lo saranno fino a prova provata: ma gli imputati sono noti (in realtà si tratta di «indagati», ndr).
Quanto al preterintenzionale, è un segno di garantismo notevole, venendo da una magistratura che quando l’aria tira imputa di omicidio volontario lo sciagurato che abbia travolto qualcuno con l’automobile».
Gli estratti vengono da qui, da un pezzo di Adriano Sofri.
Una breve marcia attraverso le istituzioni.
Omicidio volontario a chi investe in auto; preterintenzionale – cioè al di là delle intenzioni, non previsto né prevedibile come conseguenza delle proprie azioni od omissioni – a chi, ignoto, conduce a morte un ragazzo lasciandogli la mandibola fratturata, le vertebre rotte, le orbite oculari deformate, il corpo prosciugato e come introflesso.
Mi colpisce moltissimo l’irriducibile basicità del conflitto tra chi dice «l’avete ucciso» e chi dice «i carabinieri son stati corretti»; tra chi dice «è un assassinio» e chi sottoscrive che è stata una caduta dalle scale; tra chi pensa che sia stato tecnicamente un omicidio e chi sostiene che ci sia stata preterintenzionalità.
È un’alternativa che mette di fronte senza alcuna possibile mediazione due idee di mondo e di rapporti sociali.
Mi sembra una canzone di De Andrè, e lo dico con il massimo doloroso rispetto per la madre, il padre, la sorella di Stefano Cucchi, e anche dello stesso Stefano Cucchi.
Mi sembra una storia degli anni del terrorismo: chi di qua, chi di là, negoziazione impossibile.
Io istituzione contro di te merda.
Io uomo/donna/ragazzo contro le istituzioni (e francamente non saprei quale altra posizione si possa tenere ora, di fronte al volto viola di Stefano e ai suoi occhi senza più luce ma tragicamente animati dal lampo dell’incubo vissuto).
Mentre scrivo ascolto Creuza de mà (ha la dieresi, ma non so dove sia sulla tastiera): il cuore non mi sosterrebbe abbastanza, se volessi effettivamente ascoltare il De Andrè dei tribunali, dei giudici e dei drogati; il De Andrè anarchico.
Stefano era un geometra. Io lo vedo dentro «Storia di un impiegato»; solo che non ha buttato nessuna bomba.
Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, e tanti altri. Ma cosa importa delle loro presunte colpe preventive? Loro sono morti, e chi li ha uccisi è vivo.
Poteva mirare alle gambe, se aveva una pistola, e non alla testa; o picchiare meno forte; o chiamare più in fretta i soccorsi.
Chi li ha uccisi aveva più potere di loro.
È una differenza che a me sembra importante.
Non si può dimenticare il differenziale di potere.
Chi può schiacciarti anche senza ucciderti ha più potere di chi per difendersi può solo scomparire oppure uccidere chi lo schiaccia.
Condivido molto quello che scrivi e ho trovato ottimo l’articolo di Sofri. Anche io ho pensato a De André e anche a Celestini di “La divisa non si processa”.
Ho l’impressione che questi episodi, che sono ormai routine della vita (in)civile del nostro paese, siano il prezzo che si paga al non aver assicurato le responsabilità di polizia e carabinieri in occasione del G8 di Genova. Se nessuno (o quasi) è stato chiamato a rispondere in quella occasione, perché mai qualcuno dovrebbe essere chiamato a rispondere se il tossico o l’immigrato di turno vengono pestati?
Da quel giorno questo paese è diventato feroce e non se ne vede purtroppo la fine.
Sì.
È straziante.
C’è un libro, dal titolo Cuori Rossi, è un libro con molti difetti ma un assoluto pregio: ripercorre la storia d’Italia attraverso gli omicidi avvenuti dalla caduta del fascismo ad oggi, vuoi per opera della destra, vuoi, e sopratutto, per opera delle “forze dell’ordine”.
Ed in questi casi gli autori se la sono sempre cavata con pene lievissime, o nulle.
Non è da Genova 2001, ma da molto prima che esiste questo tipo di pratica, il fatto è che in Italia la polizia (polizia e carabinieri intendo) è rimasta la polizia di uno stato fascista, uno stato che prima spara, picchia, uccide, poi cerca un perché.
Cara Federica,
questo è un bel post, ma sento che manca qualcosa. Forse perchè sono siciliano, mi sembra che manchi la parola “omertà”. Non posso credere che tutti i carabinieri e le guardie carcerarie del posto siano dei pestatori. Sono invece sicuro che tutti i colleghi dei colpevoli sappiano chi è stato, e sono anche sicuro che non sia neanche la prima volta che succede. Ma nessuno parla, ed è partito subito lo scaricabarile. Dalle parti mie, questa sia chiama “omertà”. Farsi i cacchi propri per non avere problemi nel futuro.
L’omertà è una cosa molto naturale, trasversale, apolitica e apartitica, e molto molto brutta. E’ il carburante che alimenta la violenza e la sopraffazione, è la linfa vitale della mafia, è l’acqua di coltura del degrado civile. C’è a secondigliano, a casal di principe e a torino, a palermo, reggio calabria e a milano; è diffusa tra la gente normale, i delinquenti, la polizia e i carabinieri.
Sconfiggere l’omertà richiede “tanto, troppo coraggio” (cit.). Chissà se ce la faremo mai.
Per una di quelle casualità della vita che fanno sempre impressione, giusto poco fa ho scritto un post sull’omertà (e su altre cose piccole) in relazione al pezzo di oggi di Saviano su Repubblica: http://www.federicasgaggio.it/2009/11/nuove-ortodossie/
Comunque, sì.
Hai ragione. E sono d’accordo con te.
Pablo, mi sa che purtroppo hai ragione.