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cosa resta nei libri se muore il «collettivo»
Postnoir, dice su Satisfiction Raul Montanari, insieme a Gianni Biondillo e Grazia Verasani.
Autofiction o narrativa del resto?, si domanda qui Giulio Mozzi.
«Una buona metà dei romanzi usciti negli ultimi anni in Italia dovrebbe avere lo stesso titolo: Agiografia di una testa di cazzo», dice Marco Bellotto.
libri cristiani, romanzo cattolico
Il fatto che giusto oggi su Facebook mi abbia chiesto l’«amicizia» una scrittrice americana che si definisce conservative (e vabbe’) e spiega di scrivere «libri cristiani» (finora più di 95 titoli, ma va detto che Mary non sembra una ragazzina), aggiunto alla considerazione che Veronica Tomassini parla qui di uno scrittore/uomo «innocente» (parla di Mozzi), e alla circostanza che Giovanni Cocco esprime qui il pensiero che «da tempo» sentiva «l’esigenza di un forte romanzo cattolico, nel senso pregnante del termine», mi ha fatto realizzare una cosa di cui parlavo per caso giusto ieri con Barbara Gozzi (sento come echeggiare un «chissenefrega», e solidarizzo d’istinto con questa vocina, almeno fino a che non mi rendo conto che sta parlando di me!).
le tensioni religiose: bene, male e redenzione
La cosa è più o meno questa: ora che non si riesce a vedere la dimensione del politico, del collettivo e del «collettivamente affrontabile», vedo riaffiorare nei libri tensioni religiose che – spesso declinate lungo il crinale della dicotomia Bene-Male, o Perdizione-Redenzione – mi turbano molto, perché non riesco a capire se hanno un senso «reazionario» e autoassolutorio (nel senso che l’eterodossia può diventare, al suo limite, giustificazione di sé).
Di sicuro, però, anche le tensioni religiose mi sembrano un altro modo di ribellarsi all’esclusiva dicibilità dell’individuale, del proprio piccolo pezzo di mondo.
il potere e il noir
Quando non c’è un’identità collettiva, cosa resta?
Alcune cose, credo.
In primo luogo, i rapporti di potere al grado zero della catena alimentare, consapevoli o no che se ne sia.
Da qui (il processo della dissoluzione del politico non è nuovo, in effetti) vedo nascere il «noir», che forse può diventare «postnoir» allorché per altre vie si sia recuperata una sensazione di potere da rivendicare a sé, e si sia vinta la sensazione di «impotenza» sociologica e generazionale.
il sé, l’autofiction e le trame
Resta il sé, a partire dal quale nascono le «autofiction» (o, come dice Mozzi, «la narrativa del resto», di tutto ciò di cui non si può dubitare), ma anche i romanzi «di trama» (quelli che – per dirla con Bellotto – non producono il fenomeno per il quale «se viene trovato un cadavere con un romanzo italiano fra le mani, credetemi, quel tizio è morto di noia, forse si è suicidato atrocemente») che non si propongano di essere romanzo storico o ideologico, ma partano – appunto, inevitabilmente – dal sé, sia pure senza grondar sangue e secrezioni.
il corpo-trama, senza bene e senza male
Resta il corpo, come luogo di possesso di sé e dunque luogo fisico dell’identità, filone da cui nascono cose che secondo me – ma la butto lì, e potrei sbagliarmi – non necessariamente sfociano in autofiction o in narrativa del resto, perché, come dice anche Barbara Gozzi (ma non vorrei forzare il suo pensiero), in un romanzo si può anche far parlare il corpo come se fosse un elemento aggiuntivo di trama o un nuovo personaggio, e non per forza ciò entro cui transitano il bene e il male.
i buoni e i cattivi
E resta anche un’altra cosa.
Se la politica non c’è, se il collettivo non c’è (anche se qualcosa si prova ben a costruire, ma io non riesco ad avere vera fiducia), uno dei principali elementi dell’umano che possono rimanere messi a fuoco è la moralità.
E non parlo di «valori», ma di quelle cose elementari e basilari come la qualità dell’essere (fondamentalmente) buoni o (fondamentalmente) cattivi.
le mani
Vale anche per i libri, e non solo per la vita.
Sia nel senso che ci sono libri belli e libri brutti (traslazione estetica del «buono» e del «cattivo»?), sia nel senso che ci sono libri scritti con mani «buone» e libri scritti con mani «cattive».
la condivisione di un orizzonte morale
Mi rendo conto che è un concetto ambiguo, ma sono assolutamente sicura che esistano mani (e cuori) buoni e mani (e cuori) cattivi. Non è una specie di deriva apocalittica, sia pure senza religione: è una constatazione.
C’è chi accoglie e chi respinge.
C’è chi ascolta e chi no.
C’è chi vede il mondo e chi vede solo se stesso, un se stesso che giganteggia laggiù.
C’è chi calpesta e chi no.
C’è chi è gentile e chi no.
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