le operette morali di mozzi

sono_l_ultimo_a_scendereLeggendo i racconti di «Sono l’ultimo a scendere», quelli che sono usciti l’altro ieri per la Mondadori scritti da Giulio Mozzi, non sono riuscita in alcun modo ad arginare l’associazione di idee che mi è immediatamente e piacevolmente franata addosso.

l’umanità

C’è un sito che si chiama Overheard in Dublin. Racconta microstorie urbane, schegge verosimili e contemporaneamente surreali che coinvolgono un’umanità molteplice, irritante, miserabile, ma anche dolce e perfino dolente.

il vicino incontinente

A me piace la naturalezza che Mozzi mette nelle cose assurde, tipo che se un anziano vicino gli bussa alla porta perché si è fatto la cacca addosso lui lo fa entrare a casa, gli dà il bagno, l’asciugamani e anche un caffè.
Mi piace perché mi sembra uno che lo farebbe davvero, se già non l’ha fatto.

mezzo culo di legno

È credibile quando alla tipa che gli chiede se è infastidito dagli handicappati risponde che sì, perbacco, accidenti se lo è: tutte le mattine quando si guarda allo specchio si fa proprio schifo, lui con quella chiappa di legno che c’ha.

né «personaggio» né «prodotto»

Per supportare l’argomento – totalmente inessenziale – del realismo narrativo dei racconti di Giulio non ho la minima intenzione di spingermi fino a sostenere che egli abbia effettivamente una natica di legno, anche perché mi fa difetto la verifica. Però quel che mi interessa dire è che nei quadretti disegnati da Giulio io sento uscire un’aria di autentico. Per dirla alla mia maniera: un’aria che non ha assolutamente niente a che vedere né con un «personaggio» né con un «prodotto».

un autentico interesse

Per me, insomma, il libro ha un’aria «morale».
Parla dell’universo di una persona morale a cui interessa veramente dei poliziotti Tonino e Giuse’ (spaziale la storia della farmacia, pagina 144), di Bruneri e Canella, dei nipotini, degli orari dei treni, dei panni che stende, dei libri che legge, del pagliaccio derubato.
E più tempo passa, più – non so perché – io cerco persone morali, rette.

l’impronta digitale

Il Mozzi del libro mi sembra francamente sovrapponibile al Mozzi in carne e ossa.
Se il libro fosse un’impronta digitale potrei dire che essa coincide con quella di Mozzi nel numero di punti che Kay Scarpetta giudicherebbe sufficiente a testimoniare in tribunale senza esitazioni che fra i due c’è identità.

l’indulgenza silenziosa

Il Mozzi color Mazzantini – proprio come il Mozzi bipede che quando parla si mangia le parole – ha tutta una sua silenziosa indulgenza per il cuore degli altri. Li accoglie senza far troppe storie e senza troppo parlare, con un’aria vaga di distrazione, come se ci fosse sempre qualcosa di più importante che gli attraversa il racconto di carta (o i pensieri di aria).

le apparenti questioni di principio

Ma Mozzi-1 e Mozzi-2 trovano sempre un largo margine cartaceo (ed esistenziale, oso dire) per negoziare sulle questioni apparentemente di principio, quelle incarnate dagli individui «regolari» che i due Mozzi non smettono di incontrare. Tutti li incontriamo. Solo che c’è chi non se ne accorge.

due mozzi e nessuna ferocia

Siccome questi tipi lo fan montare in bestia, lui comincia tutta una laboriosa circonvenzione che rimane a finale aperto fino all’epilogo.
I Mozzi 1 e 2 cercano di far ragionare i «regolari» conducendoli per mano lungo una strada piena di curve e pure un poco trasversale, e loro s’industriano a seguirli fino a quando è troppo tardi per rendersi conto che sono stati menati per il naso.
Niente ferocia di chi vuole umiliare, però. Solo il piccolo sorriso di chi sa che, date certe condizioni al momento imprevedibili, perfino lui (l’1 e il 2) può cadere nelle trappole di qualcuno che la sa (momentaneamente) più lunga.

operette morali

Quel che ho letto in «Sono l’ultimo a scendere» sono – lo voglio dire – operette morali scritte con autentica grazia, nella lingua piana e musicale di uno che non se la tira, e non lo saprebbe fare neanche se lo volesse veramente.

sentimenti

C’è un certo numero di ragioni per cui il libro mi è caro.
Una è certamente che il libro è bello.
Un’altra è che Mozzi è un tipo che mi piace (forse mi piace anche perché fu a lui che spedii il manoscritto di «Due colonne taglio basso», non so; però io non credo che sia per questo).

le monellerie di mia madre

E un’altra ancora è che mi ricorda alcune monellerie di mia madre.
Un giorno di qualche anno fa, al suo paese in provincia di Avellino muore un suo parente acquisito.
In quel periodo lei si trova però nel Vicentino, a casa di un fratello; ragion per cui i fiori deve andare a ordinarli nel negozio Interflora di Arzignano.

«le vostre usanze?»

Entra, saluta, e dice alla fioraia: «Vorrei mandare dei fiori per il funerale del marito di una mia cugina».
«Che tipo di fiori le dò?».
«Mah, non so», dice mia madre. «Lei cosa mi consiglia?».
«Non saprei. Non ne ho idea. Sa, non so come sono le vostre usanze là al sud».

cadaveri a pezzetti

Mia madre resta zitta per un attimo, riorganizza le forze.
«Beh, guardi», dice. «Adesso le spiego, così anche lei si fa un’idea e magari le serve per un’altra volta».
«Mi dica», fa l’altra.
«Noi non mettiamo i cadaveri nella bara, sa?».
«Ah no?». La fioraia impallidisce.
«No, perché abbiamo un’antichissima usanza speciale. Facciamo a pezzi i corpi dei morti e poi li lanciamo per aria al funerale insieme ai petali dei fiori che mandano i parenti. Perciò, vede, il tipo di fiore non è importante. Decida pur lei. L’importante è che non costino troppo».

storie solo credibili?

Ecco. Una storia del genere si sarebbe potuta trovare bene in compagnia delle «altre storie credibili» di cui al sottotitolo del volumetto di Giulio.
Le sue storie, chissà, potranno anche essere inventate.
Ma lui – ne sono sicura – è vero, anche se parla poco.
Ed è vera anche la lingua in cui scrive.