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giornalismo e dimenticanze
Tre cose sull’articolessa di Diamanti pubblicata oggi su Repubblica.
«Nell’era della mediocrazia avanza un soggetto politico nuovo. Anche se ha sembianze note e sembra quasi antico, visto che – nella versione originaria – è sorto insieme alla prima Repubblica. Eppure è cambiato profondamente, negli ultimi anni. In modo tanto rapido che neppure ce ne siamo accorti. Lo chiameremo Partito Mediale di Massa (PMM)».
Il pezzo comincia così.
Ora: o Diamanti s’era distratto o io sono un tipo troppo sveglio (escluderei entrambe le cose, ma vabbe’): soggetto politico nuovo? Nuovo? Ma tutto quello che s’è visto in questi anni cos’era? Un paesaggio dei Lego, per Diamanti? O non era forse la realtà?
Il pezzo poi prosegue dicendo questo: «Il PMM costruito da Berlusconi si avvale anche dei giornali» (Ma va’? E chi l’avrebbe mai detto?). «Il linguaggio e gli argomenti politici della destra, negli ultimi anni, sono stati imposti soprattutto da Libero e da Vittorio Feltri. Il quale è tornato, da poco, a dirigere il Giornale. Non a caso. Perché il campo di battaglia dove si stanno svolgendo i conflitti politici più aspri e violenti coincide con il sistema dei media. Investe la scelta dei dirigenti, dei direttori e vicedirettori dei Tiggì e delle reti Rai. Senza dimenticare che i direttori dei maggiori quotidiani nazionali sono cambiati quasi tutti, nell’ultimo anno. D’altra parte, la costruzione della realtà sociale passa tutta dai media. La paura e la sicurezza. Agitate a tele-comando. Mentre i lavoratori licenziati, per conquistare visibilità, hanno una sola chance: realizzare azioni clamorose per andare in televisione. Mentre i terremoti e i rifiuti che sconvolgono il territorio diventano occasioni importanti per suscitare consenso o dissenso politico».
Subito dopo, un’autentica perla: «L’informazione critica diventa, per questo, assai più pericolosa di qualsiasi partito».
Oggi quest’uomo va proprio in cerca del colpo ad effetto, eh?
Qui le cose che ho da dire sono due.
La prima è questa: sono molto stanca di sentir ripetere – credo siano quindici anni ininterrotti – che la questione della stampa, in Italia, sia il problema delle proprietà dei giornali di Berlusconi.
No.
Il problema è – purtroppo – anche e forse soprattutto l’egemonia culturale che Berlusconi ha imposto a un intero Paese, ai direttori responsabili di piccoli e medi giornali che volentieri hanno chinato la testa (nel caso in cui ne avessero una, è ovvio) e censurato tutto il censurabile, e ai redattori servi che non aspettavano altro che capire chi fosse il nuovo signore ai cui piedi inginocchiarsi per ottenere qualche squallido lasciapassare nei quartieri presuntamente alti.
La seconda è questa: dov’erano, Diamanti, Repubblica, la Fnsi, i cosiddetti partiti della cosiddetta opposizione, le cosiddette organizzazioni sindacali, quando noi giornalisti combattevamo uno alla volta – perdendola – la nostra infantile battaglia contro la censura, il pensiero unico e l’autocensura?
Quali alleati ci siamo trovati al fianco?
I colleghi che mobbizzavano?
Il sindacato che abbassava gli stipendi ai precari?
La Repubblica che tirava la volata a De Mita?
Il Corriere che studiava da revisionista?
I giornalisti che pensavano di reinventarsi un lavoro come scrittori di pamphlet antiberlusconiani usando gli stessi sistemi di autopromozione degli scrittori berlusconiani, ovvero trasformandosi in maitre a penser tascabili, buoni da portarsi al mare e da leggere sotto l’ombrellone?
Brava