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un’idea di amicizia
C’è una cosa che mi tormenta da molti anni, perché torna.
Quand’ero ragazzina pensavo che fosse il risultato ovvio di relazioni vagamente brutali fra ragazzine poco avvezze alla socialità.
Poi, ho pensato che per difendermene mi potesse essere sufficiente esprimere chiaramente la mia convinzione, e cioè che secondo me non basta pensare di essere amici per potersi permettere il lusso di dire all’amico tutto ciò che vogliamo, magari sulla scorta dell’argomento che i veri amici sono sinceri, perché se si fa così non si rispettano le fragilità dell’amico.
Invece, non basta nemmeno esprimere chiaramente (e preventivamente) la propria convinzione.
Un giorno, forse, qualcuno riuscirà finalmente a spiegarmi come mai esistono persone che – definito in modo anche approssimativo il dato che ti sono amiche – pensano di essere autorizzate a esprimere giudizi pesanti e radicali su di te, sulla tua vita, sui tuoi desideri e sulle tue relazioni, e quando tu replichi «ehi! Ma che cosa stai dicendo?», ti obiettano che prendi tutto troppo sul serio e non hai abbastanza leggerezza né ironia (altri giudizi pieni di benevolenza, insomma); che – vabbe’ – prima o poi, quando avrai trovato la leggerezza per accettare i discorsi, ti passerà.
Ogni interpretazione non richiesta, diceva Freud, è una violenza.
Ma loro sono amici, e dunque possono, perché anche Sigmund avrebbe fatto un’eccezioncella per loro.
Loro vogliono il tuo bene, eccheccazzo.
E tra l’altro queste esperienze le hanno immancabilmente fatte prima di te, e dunque sanno.
Ti aspettano là, vedi laggiù?. Là, all’approdo di quelli che sono guariti, che ce l’hanno fatta.
Possono dirti che puzzi; che – insomma – un po’ di malattia mentale ce l’avresti, eh; che sarebbe ora che con i tuoi affetti più cari ti comportassi in un altro modo; che i tuoi desideri profondi son cazzate; che ti stai raccontando un sacco di balle…
E tu dovresti fartici una bella risata.
Magari anche dire grazie per la loro onestà.
in questo pezzetto ci vedo parecchio di me.
la vera amicizia la si deve sentire reciprocamente e come dici tu non ci si può soltanto “chiamare” amici.
per quanto riguarda la sincerità ho bisogno di amiche brutali come me, ci resto male a volte ma almeno so con chi/cosa ho a che fare. poi c’è anche la questione della sensibilità individuale, e qui la questione diventa a doppio taglio.
spero di non aver esagerato mai con te.
Sì, Federica, gli amici sono quelli che possono dirti che puzzi, sono quelli che possono esprimere giudizi sulla tua vita non perché la vogliono distruggere o altro ma perché pensano di poterti aiutare a vedere le cose da un’altra prospettiva. poi certo che sono i giudizi loro e sbagliano come sbagliano lee madri, i padri e i mariti. io mi aspetto questo da un amico che tanto più è amico più è autorizzato a entrare a piè pari nella mia vita non per dirmi sempre sì. perché se da un amico io ci vado alle due di notte per rompere i coglioni se ho bisogno e sto male, mi aspetto che mi dica: secondo me sbagli, così e così. chi mi mi vezzeggia e mi dice sempre sì non mi ha in molta considerazione, direi che di me gliene frega poco. e qui la chiudo.
buone altre amicizie, io sono un po’ diversa dalle persone che corrispondono alla tua idea di amicizia
patrizia patelli
No, Patrizia.
Un conto è dire «secondo me sbagli»; altro è dar giudizi conclusivi.
Credo che di me interessa poco sia agli amici che mi vezzeggiano e dicono sempre sì, sia a quelli che mi danno giudizi pesanti e tranchant senza preoccuparsi di accompagnarli con una carezza.
Un’altra prospettiva è sempre possibile, ovvio. Un altro giudizio anche, eccome.
Ma ci vuol sempre una carezza, insieme.
Può darsi che io sia scema, o troppo fragile per stare al mondo.
Ma non sono così sciocca da pensare che voglio un amico che dice sempre sì.
Tra l’altro.
Se vado da un amico alle due di notte per dirgli che sto male – se mai lo faccio – mi aspetto che di notte mi abbracci e mi faccia smettere di piangere. E di giorno, poi, mi dica «secondo me sbagli per questo e questo».
Considero un’inutile cattiveria le tue due ultime frasi.
Non capisco a che bisogno risponda una dichiarazione «pubblica» di alterità da me.
Questo tuo post lo condivido, forse non esattamente e forse per motivi del tutto miei, ma mi ci ritrovo.
Sopratutto la frase: ai veri amici si dice la verità: assolutamente ipocrità primo perché, come disse quel tale ad un altro “che cos’è la verità?” e risposta non giunse.
Secondo: prova un po’ a dire quello che pensi all’amico che dice la verità e vedi un po’ come la piglia e poi sappimelo dire!
Ci sono persone che si spacciano per amiche ed in realtà non lo sono affatto: vogliono solo farsi i cazzi altrui non sapendo come risolvere i cazzi propri.
Meglio perderli che trovarli, dammi retta.
ciao.
È un argomento molto delicato, Pablo.
Se a casa mia viene un amico che sta male, o è disperato, per prima cosa io lo accolgo chiedendo cos’è successo e ascoltando, sempre che abbia voglia di parlare e non solamente di piangere in silenzio.
È giusto ascoltare a lungo, prima di poter dire alcunché, credo; perché bisogna capire quanto è aperta la porta di quel cuore. Non la si può spalancare a forza solo per il gusto di dire ciò che si ritiene sia la verità.
Mi sembra giusto farsi carico della situazione di fragilità dell’amico.
A me sembra ingiusto, per esempio, che di fronte a un bisogno profondo di un amico io gli dica che secondo me quello non è un bisogno profondo ma solo un suo escamotage per continuare a non stare bene.
Può anche darsi che sia vero; ma io una cosa così non potrei dirla nemmeno all’uomo a cui ho legato la mia vita.
A meno che – dato per assodato che lui non si trovi in una situazione di debolezza – non ricorra una di queste condizioni:
– che sia lui a chiedermi che cosa ne penso;
– che io possa essere ragionevolmente certa di non toccare corde dolorose perché l’argomento di cui si tratta non è ancora stato «digerito».
Naturalmente, c’è un’altra condizione ricorrendo la quale potrei benissimo dargli una bella badilata metaforica sui denti esprimendogli a muso duro il mio giudizio: potrei per motivi miei volergli fare del male.
Se facessi così, potrei anche ricadere nella fattispecie di cui parlavi tu: quella della gente che si vuole fare i fatti degli amici perché non riesce a risolvere i cazzi propri.
Perché se poi, per ritornare all’esempio, mio marito mi ripagasse con uguali badilate, probabilmente ci rimarrei male anch’io, eccome.
La questione, in effetti, è che io, tanto per dire, ho sposato un uomo che non tira badilate; e i miei migliori amici non tirano badilate.
E le badilate non le tiro nemmeno io.
Se non per fare intenzionalmente del male, cosa che è accaduta abbastanza di rado ma comunque è accaduta.
Ma quando ho tirato le badilate non ho fatto finta di averle tirate per il bene dell’amico o per amore di verità.
@ Ollivander: no, non hai mai esagerato.
Non è che io preferisco l’ipocrisia alla sincerità.
È che alla brutalità – questa sì effettivamente a doppio taglio, anche perché chi dice che il brutale abbia di per sé ragione? – preferisco la gentilezza, il rispetto delle fragilità degli altri.
Nel cuore delle persone è meglio non entrare con gli stivali dal puntale di ferro, mi sa.
Chi lo fa e poi ti dice che l’ha fatto perché ti vuol bene forse non sta dicendo (a te? A se stesso? Non lo so) tutta la verità, a dispetto delle professioni di sincerità.
Può essere che mi sbagli, ma io ho bisogno di persone materne.
Non ipocrite, o false, o accomodanti, o compiacenti, o ossequiose, o servili, o tributarie.
Ma materne, accoglienti.
Non sono così stupida da farmi incantare dalla cortigianeria.
Conosco la differenza fra la condiscendenza e la sincerità.
Federica, mi ci sono ritrovato in questo tuo post.
Guardando indietro ho rivisto un ragazzo che tante volte si è sentito ferito senza che questo potesse essere riconosciuto naturale e lecito.
Poi ho imparato a tirare su lo scudo. Ma so anche che con alcune (poche) persone lo scudo si può dimenticare perchè loro condividono le mie stesse sensibilità. E’ bello il piacere di scoprire, tra i tanti, una di queste.
Hai ragione: è bello.
Di fronte a scottature come queste si tende a sentirsi un po’ soli, e invece fa bene scoprire che non è vero.
Sono d’accordo, come spesso accade, con quello che dici. Con le parole precise, lucide, che usi. Parli di persone materne, accoglienti. Anch’io sento il bisogno, estremo, di trovare persone così. Quanto alla sincerità, anch’io penso si debba stare molto attenti. Si pone, forse, un problema di efficacia comunicativa, fatto di attenzione ai tempi, ai modi, alla sensibilità: perchè un messaggio venga recepito, capito, accettato, memorizzato, deve arrivare al momento giusto, deve essere detto con le parole giuste, deve rispondere ad un bisogno. Mi viene spontaneo riferirmi all’interazione con i bambini, con i quali il segreto ritengo sia saper cogliere i tempi. Considerando anche che un aiuto non richiesto costituisce un freno allo sviluppo.
Mi sono ritrovata in situazioni in cui la comunicazione verbale non ha avuto efficacia, come se parole a cui io davo certi significati, venendo pronunciate o scritte arrivassero all’interlocutore con un significato differente: per quanto assolutamente sincere si sono rivelate inutili e in alcuni casi persino dannose. Prenderne atto è stato faticosissimo e molto doloroso, ma necessario.
In altri casi, sorprendentemente, le parole sono sgorgate senza fatica con la netta sensazione che si stessero condividendo identiche percezioni, leggendo la stessa pagina insieme, e sembrava quasi ovvio, naturale che accadesse. Quando succede è una specie di miracolo, e con le persone con cui accade nasce un legame istintivo, magico e spontaneo.