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la retorica delle scuse, o dell’asilo istituzionale
La triviale canzone di Salvini – che da sola denuncia ciò egli stesso non fatica ad ammettere, e cioè l’immersione in un’etica da curva dello stadio – fa dire ai due giganti La Russa e Bocchino, ma anche (mio dio, ti prego) a gente della cosiddetta sinistra – vedi qui – che lui, Salvini deve chiedere scusa.
E quando ha chiesto scusa, cosa cambia?
Quando ha chiesto scusa siamo a posto?
Va bene che ha un cognome al diminutivo, ma cos’è? Dobbiamo farci bastare le scuse come con i bambini dell’asilo?
Come può, chiedendo scusa, emendare il lurido background che solo consente di pronunciare parole come quelle?
il triviale in oggetto è un’altra triste comparsa nella corte dei miracoli che ci governa.
davvero, nemmeno ai tempi della prima repubblica.
schifo. l’unico commento esprimibile.
E tra l’altro, ora che s’è dimesso perché era obbiligato a farlo dall’incomaptibilità fra l’essere egli contemporaneamente (o mio dio) parlamentare italiano, parlamentare europeo e pure consigliere comunale a Milano, a chi gli dice «razzista» può replicare «ehi, io mi sono dimesso!», e a chi gli dice «bravo!» può replicare «mi son domesso perché dovevo, mica per chiedere scusa ai terroni!».
Sì.
Schifo.