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i servi vanno alla miserabile guerra
Ci tornerò, adesso sono di fretta: ma non riesco a evitare di dire che questa squallida guerretta fra giornali in cui sembra che i giornalisti siano scudieri di una parte politica invece che giornalisti mi dà una profonda nausea, e mi fa dire che come categoria meritiamo tutto il peggio.
Cosa che peraltro ci sta effettivamente succedendo.
Il laido vassallaggio alle ragioni dei potenti mi stomaca come cittadina e come giornalista.
Non ho altro potere se non quello di augurarmi che presto uno zott – divino o naturale, che importa – polverizzi i miseri cervelli di coloro che, immeritatamente definiti umani, posseggono deboli neuroni e immorale servilismo a valanga (potrebbero mettere su un mercatino rionale in cui venderlo, se questo Paese non fosse già così pieno di servi).
Come giornalisti abbiamo una responsabilità civile che considero importante.
Ma se questa non bastasse, ci sarebbe comunque il codice deontologico, che ci vincola a mantenere i nostri rapporti nell’alveo dello spirito di colleganza.
Che schifo.
Invece di occuparsi di verificare le notizie, questi si preoccupano di verificare il comportamento dei colleghi-concorrenti.
E, naturalmente, senza coinvolgere l’ordine dei giornalisti.
Accusandosi come parte politica avversa – il peggio è questo – e nemmeno come colleghi.
Non solo noi giornalisti meritiamo il peggio.
Merita il peggio – e ce l’ha – anche questo bastardo Paese.
Nella migliore tradizione mafiosa, questo è il momento dei sicari.
E quanto alle «rivelazioni», ci mancava solo la Santanchè.
Se poi veramente le cose sono andate come dice Gilioli e come dice Marco Lillo (trappolone del Giornale con l’immeritata maiuscola), beh, io non so cos’altro dire.
Che il direttore di un settimanale – Belpietro – invece di fare il suo lavoro (decidere se pubblicare o no, e stop), avvertisse l’avvocato di Berlusconi del fatto che qualcuno aveva foto che potevano creargli un problema mi sembrava già una cosa oltre il fondo del barile…
Se interessa la ragazza che a qualche mio collega è parsa una buona testimone, qui c’è un saggio della sua valentìa.
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