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l’ipocrita elogio della «davantologia»
Me l’ero persa, questa cosa che potrei definire «polemica» fra Travaglio e Battista, a proposito del cosiddetto «doppio Stato», del terrorismo, e di ciò che con l’orrenda arroganza dei vincitori viene definita «dietrologia».
Può darsi che le ricostruzioni di Travaglio – o degli storici Ginsborg e Tranfaglia, che Battista accomuna con greve noncuranza in un unico disprezzato calderone – siano in qualche punto manchevoli o addirittura sbagliate.
Non mi interessa affatto asserire che Travaglio ha sempre ragione. Travaglio può anche avere torto marcio, ma a me interessa dire che certamente non ha ragione Battista quando liquida con schifata supponenza ciò che meriterebbe un po’ di rispetto in più.
Il lessico a me pare violento e volgare, per esempio: «La Rete di Leoluca Orlando fece del “doppiostatismo” addirittura il credo ufficiale».
Se non altro per averne fatto parte, mi va di ricordare che non essendo stata La Rete una religione, di credo ufficiali non ce n’era nemmeno uno. Dentro c’erano certamente molti stolti, come dappertutto; ma anche persone meravigliosamente degne e ingegni integri e fini. Casomai, se un torto – e che torto – va addebitato alla Rete, esso è il fatto che quel movimento abbia creduto che la cosiddetta questione morale potesse non aver parentela con i contenuti della politica.
Supponenza insopportabile è parlare di «eredi e continuatori della nobile schiatta di giornalisti detti “pistaroli” (da chi?, ndr) «per il loro diuturno esercizio di smascheramento delle “piste” segrete che a loro dire avrebbero condotto all’individuazione dei mandanti e degli esecutori delle stragi e del terrore (…)».
Okay, Battista, hai vinto: la storia d’Italia è lineare. Dalla fondazione di Roma a Berlusconi, se qualcosa di poco chiaro ancora resiste, è da rubricare a carico della fisiologica incapacità umana di accedere alla totalità dell’universo conoscibile.
Credo – questo sì – asseverato da Andreotti, che «deplorò», dice Battista (non esitando a cogliere l’opportunità di portare a puntello della sua ricostruzione le parole di Napolitano), «la visione “distorta” dei «dietrologi».
l’articolo di Battista e’ assai singolare.
In pratica, la forza della sua tesi -lo stato deviato non esiste- deriva solo da uno stralcio delle parole di Napolitano (e da un commento di Andreotti, si’).
Io non ho capito bene: se Napolitano dice una cosa, allora non la si puo’ piu’ mettere in discussione? Diventa verita’ storica?
Quel che e’ sottinteso e’ un messaggio alla fazione di chi da sinistra sostiene Napolitano: ora non potete piu’ criticare Andreotti ed il sottoscritto, quando diciamo che lo stato deviato non esiste.
Contento Battista, di mandare mesaggi del genere. Francamente, il suo e’ un non-argomento.
Sì.
Ed è incredibile quale sia la facilità con la quale questi non-argomenti, esclusivamente in forza della loro capacità suggestiva, tranquillizzante, o semplificatrice, diventino senso comune.
Questa gente ha lavorato molto bene.
Ha demolito tutto il demolibile mentre noi li prendevamo in giro per la rozzezza delle loro analisi e ci facevamo belli per la profondità della nostra.
E poi hanno cominciato a bastonare, sempre più forte, sempre più forte.
Reazioni avverse non ne potevano avere, dopo tutto il lavoro che – insieme, anche se non necessariamente congiurando! – avevano fatto.
E le bastonate erano e sono tutte per noi.
E se vogliamo evitare i lividi e il sangue, la cosa importante che dobbiamo capire è che dobbiamo tacere.
Altrimenti scatta la «davantologia» – primo e più banale rimedio – e poi via via punizioni sempre più intense, sempre più funzionali alla nostra marginalizzazione e alla nostra ridicolizzazione.
Poi uno dice «ma perchè tu pensi che l’Italia sia un Paese morto?»…