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aboliamo il «giornalismo scientifico»?
«Bimbi più bravi se imparano gli scacchi».
«Figli difficili se il padre è depresso»
«Buchi neri “divorano” la Via Lattea».
«Segui le termiti e troverai oro e diamanti».
«Ecco la molecola che nutre la memoria».
«Neonati, piccoli geni: “Imparano già come adulti”»
Ho preso a caso un po’ di titoli dalle sezioni «scienze» dei quotidiani online. Ce n’era uno, nei giorni scorsi, che non riesco più a trovare. Era una cosa come «Le femmine studiano meglio e son più brave se sono in classi femminili».
Io ho una proposta.
Ci penso da un sacco di tempo, e più tempo passa più mi sembra una bella idea.
Potremmo gentilmente abolire ciò che passa sotto la definizione di «giornalismo scientifico»?
Non è bello vedersi propagandare sensazionali risultati della scienza un giorno sì e l’altro pure. Contraddittori, magari. O semplicemente così ovvi da domandarsi come mai sia venuta a qualcuno l’idea di verificarne la fondatezza «scientifica».
O leggere di fantastiche nuove cure che aprono il cuore alla speranza.
O qualunque altra cosa.
Tutto fa brodo, nel «giornalismo scientifico» divulgativo. E la banalizzazione di cose complesse devasta qualunque possibilità di serio apprendimento collettivo.
Questi articoli «scientifici» diventano argomento di conversazioni casuali da bar o da ascensore.
Il burro fa male, però in una certa quantità il burro fa bene, e comunque il colesterolo non è responsabile di tutte le malattie di cui lo accusano, e invece i fattori di rischio, ma la prevenzione, e l’alimentazione corretta, gli stili di vita…
Mi sembra che l’unica utilità concreta del giornalismo scientifico divulgativo sia – oltre che fornire, come ho detto, comodi argomenti di conversazione superficiale – creare un’ortodossia di benpensanti.
Un’idea di scienza chiacchierata che, paradossalmente, proprio per il fatto di essere banalizzata, diventa più vera di qualunque (ipotetica) verità, e inchioda i lettori dei giornali alla dipendenza da un’altra forma di pensiero unico.
Tant’è che sui grandi temi come l’effetto serra, per esempio, ci si divide in due: chi dice che sono invenzioni, e chi dice che moriremo giovedì.
In mezzo, i veri profeti della verità: i pieriangela.
Il pensiero unico dell’«in medium stat virtus». Che è un pensiero assolutamente anti-scientifico, direi.
Ed io invece sono contrario, alla faccia se sono contrario.
Quando col mio collega di stanza abbiamo bisogno di far quattro risate indovina un po’ cosa facciamo? Beh si aprono le pagine scientifiche di Repubblica. Ma sì, il Corriere non è da meno però piazza indipendenza batte via solferino.
Nell’analisi tu hai decisamente ragione. In fondo per me esser socio del CICAP, leggere l’UPPA, comprare il formaggio buono, tentare di fare il ricercatore in Italia, ridere sulle pagine scientifiche, credere per la terza volta che sia possibile costruire una forza politica di sinistra e così via è semplicimente vivere. Cos’hai scritto: “Ortodossia dei benpensanti”. E già. Ed i benpensanti hanno bisogno delle ricette, appunto. Il burro (come lo zucchero, il sale, il pepe, il peperoncino) fa male, appunto. Gli immigrati rubano, appunto. Alle poste c’è la coda perchè questi impiegati pubblici – e nessuno scriva che le poste sono privatizzate che è cosa complicata- non fanno nulla, appunto. Franceschini è comunista, appunto. Gli ebrei sono usurai, appunto. Appunto.
Già, andò così. Appunto. Benpensanti con la ricetta. Di peggio non c’è.
Dalovi, mi rispieghi meglio?
Ciao
😉
(Sì, sto rinconglionendo; fenomeno – ahimé – irreversibile ma se non altro a lenta progressione)
Era una adesione prorompente alla tua tesi della “ortodossia dei benpensanti”. Al fatto che, appunto, i benpensanti hanno bisogno delle ricette sul sale, sullo zucchero, sul burro, sugli immigrati, così come, in passato, serviva la ricetta per gli ebrei.
Ed era un’adesione a tutto tondo nella soncapevolezza che il “giornalismo scientifico” a cui ti riferisci ha davvero l’obiettivo che tu racconti. Ricette per benpensanti. In vero un attimo in contrasto con il fondamento della scienza (per cui le ricette sono un po’ ostiche e l’ipse dixit dovrebbe abitare nella sezione storica delle biblioteche).
Solo che, per favore, quei titoli, quelli articoli lasciali. Anzi lasciaceli. Io ed il mio collega li usiamo come relax. Sì, sì. Siamo perversi. C’è chi parla di veline, di calcio, del tempo. Noi, invece, quando vogliamo divagare apriamo la pagina delle scienze di repubblica e ci sbellichiamo. Quando per la banalità, quando per l’assurdità. E’ soprattutto l’assenza di qualsiasi controllo tra sorgente della notizia, traduzione (spero automatica) ed adattamento che propone delle cose così assurde da essere, appunto, comiche.
Il meglio è sapere che di ricette non ce ne sono. Che chiunque sarò sempre più ignorante di quanto possa essere sapiente. Banalità, è vero, ma il meglio è fare crescere e lasciare libera la curiosità di sapere e di capire.
Il meglio è non accontentarsi mai delle ricette o dei riassuntini delle stesse fatti in modo superficiale.
Sì, Andrea.
Dal punto di vista del lettore forse è meglio così.
Ma dal punto di vista di chi scrive la questione dovrebbe ben essere diversa: il dovere sarebbe capire, capire e ancora capire molto bene ciò che deve essere trasferito sul giornale, rispondendo a tutte le domande che ci vengono in mente, di modo che poi chi legga non sia costretto a fare lo slalom fra cortocircuiti dell’intelligenza, evidenti errori di interpretazione e giornalismo a centimetro quadrato.
Il giornalismo scientifico in Italia è una pallina su un piano inclinato…
Il semplificazionismo, il riduzionismo, nascono non solo dall’assunto che il lettore sia scemo, ma, temo, dall’ignoranza colossale di chi si dovrebbe occupare di “divulgazione”…
E’ una bella provocazione: il giornalismo scientifico così com’è fa più danno che utile. Dovrebbe essere rifondato su basi solide. Che ci sono. Ma nessuno si scomoda ad applicare…