voglio ringraziare ferdinando camon

Per scrivere questa cosa mi sono organizzata.
I-pod.
Cuffia.
Lyam O’Flynn, “The given note”.
Fantastica, meravigliosa, commovente; quelle cose che sono in grado di far alzare le ancore al cuore, soprattutto se il cuore appartiene a una “molegatta” (termine veneto che al momento non riesco a trovar modo di tradurre meglio che con “persona emotiva, sentimentale”).

Un po’ di giorni fa ho ricevuto al lavoro questa mail di Ferdinando Camon, che non ha bisogno di presentazioni.
Lui e io non ci conosciamo, però Camon scrive editoriali anche per il giornale dove lavoro io, e – siccome a volte li metto in pagina io – li spedisce anche a me (cosa che spiega il suo riferimento finale all’essere io un indirizzo mail).

From: Ferdinando Camon
To: AA Arena Sgaggio
Sent: Monday, February 23, 2009 6:18 PM
Subject: Camon a Federica

Cara Federica,
non farai parte di coloro i quali credono che scrivere sui giornali sia un lavoro libero, autonomo, in cui uno si occupa di quel che vuole e come vuole.

Sai bene, per lavorare in un giornale e per avere scritto un bel libro sul giornalismo, che le cose non stanno così.

“La Stampa” mi ha imposto di leggere-recensire Letteratitudine (un blog letterario; interessante ma tecnico), Norman Mailer su Dio, Steinbeck sugli Americani, Boris Pahor perché sta morendo, Truman Capote ristampato in antologia, e adesso mi chiede a tamburo battente un articolo su “Davide” di Carlo Coccioli (in realtà molto bello).

Il tuo libro l’ho letto negli spazi di tempo che mi restavano, e anche così son riuscito a coglierne e gustarne la classicità della scrittura (una lingua che crea, tu dici cose, vien voglia di ringraziarti), la vivacità dei dialoghi (io non ti conosco, ma evidentemente sei una parlatrice-ascoltatrice), l’amore per i personaggi, mai buttati lì con una caratterizzazione monocorde, ma sempre completati.

Giovanni Giudici amava dire che lui scriveva poesia viva: una poesia che vive da sola, anche recitata o riassunta.
Tu hai fatto un libro che è una macchina, vive di vita sua, si muove e resta nella memoria.

Ciò detto, tu sconti un male che ci colpisce tutti: non esiste un medium unificante qui nelle Venezie, sul quale incontrarci e presentarci e confrontarci, e la grande stampa romana-milanese-torinese ha occhi solo per gli eventi culturali romani, milanesi, torinesi.

Uscendo da Sironi, sei nell’orbita, credo, di Mozzi.
Mozzi è un personaggio limpido, acuto e onesto. È (come tutti noi qui) sottopotenziato, cioè non ha un grande potere, però avere il suo consenso nobilita un lavoro.
Ora hai anche il mio. Io Mozzi lo stimo molto. Ora ho imparato a stimare anche te.

Non sei più un indirizzo di e-mail, sei un mondo.
Un abbraccio da lontano.

Ferdinando Camon

La cosa era nata così.

A fine gennaio, facendo reply a una di queste mail in cui Camon invia i suoi editoriali, gli avevo scritto questo:

Un giorno, se mai avrai abbastanza capienza emotiva (e abbastanza tempo) per farlo, ti va di leggere il mio romanzo che è uscito in maggio per la Sironi?
Dico così, eh.
Senza impegno, è ovvio.
Ciao

Quello che mi ha scritto mi ha emozionato molto, perché mi riconosce serietà; perché parla del modo in cui ho scritto e anche di quel che ho scritto.
E perché – accidenti – è stato così carino da leggermi e da rispondermi.
Io non ho nessun potere: poteva benissimo far finta di niente.

Alcuni l’hanno fatto, d’altra parte, e per la verità me ne sento ancora ferita.
Se sono scrittori come sostengono di essere, in effetti, potevano trovare il modo per scrivere con risibile dispendio d’energie e minimo impiego di tempo che erano molto impegnati e non potevano leggermi; o che mi avevano letto e non avevano apprezzato poi tanto – che so – i dialoghi, o il turpiloquio, o la storia…

Il fatto è che in tutta questa vicenda del libro ho conosciuto alcune persone carine (alcune sono state proprio belle sorprese), ma un numero infinitamente maggiore di autentici stronzi (purtroppo, qualunque sinonimo polito è del tutto inadeguato a rendere la complessità del caso).
Supponenti, egocentrici, incapaci di guardare e di vedere e di ascoltare e di capire qualunque cosa evento persona situazione implicazione non avesse relazione con loro stessi.

Pensavo che i giornalisti fossero – come dire? – “difficili”.
Beh.
Mi sbagliavo.
Forse per il fatto che in tanti anni di frequentazione con loro ho specializzato alcune delle funzioni più avanzate del mio sistema immunitario, adesso sono sicura che sono infinitamente più “difficili” gli scrittori, ma anche (attenzione, perché se ne parla troppo poco!) coloro che – ricolmi di feroce intenzione punitiva – con gli scrittori hanno a che fare per professione.

Un giorno ne parlo.
Sì.
Ne parlo.