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avere qualcosa da vincere
Mi sta capitando di ricevere alcune mail private in cui alcuni mi dicono che leggono i miei post con piacere perché – sostengono – fanno capire che sono coraggiosa e non ho paura di esprimere le mie opinioni.
Che qualcuno pensi di dirmi queste cose è una cosa bella.
Però volevo dire che secondo me solo due categorie di persone – in termini generali, e con grande approssimazione – non hanno paura di esprimere le proprie opinioni: quelli che hanno molto potere; e quelli che, siccome non hanno potere, realizzano che non hanno niente da perdere.
Appartengo, francamente più per scelta che per caso, alla seconda schiera; e volevo dire che sono molto stufa di non avere niente da perdere.
È come sbattere continuamente contro un muro di gomma che ti rimanda l’immagine che qualunque cosa tu dica o faccia non ha la minima importanza.
È importante capire la lezione che non aver niente da perdere dà una grandissima libertà; ma penso che – subito dopo questa – di lezioni da imparare ce ne sia un’altra.
Trovare al più presto qualcosa che, invece di originare la paura di perdere, dia la voglia di vincere.
Ovviamente, visto che si è passati per quella strada, ciò che si vorrà vincere non sarà la gara che ha deciso qualcun altro, ma la gara nostra.
Vivere è proprio faticoso e complicato.
Perciò, per come butta, continuate pure a scrivermi cose gentili.
Conosco molto bene questo sentimento. Ahi, se lo conosco….!
Buttandola proprio sul personale-intimo: posto che le gare degli altri non ci interessano e non ci riguardano, siamo pronti a vincere una gara? voglio dire: ad affrontare la responsabilità di una vittoria?
Ciao, un abbraccio, cometa
(la responsabilità e le conseguenze)
E la cosa più assurda è che non è che altre vittorie non ce ne siano state.
Solo che la cosa singolare è che sulle vittorie non sono mai riuscita a costruire sensi di autostima, o a rafforzare la mia – che schifo di parole – «immagine pubblica».
Per dirla in un altro modo: ci dev’essere un fottuto legame, fra questo sentimento che dici di conoscere e il fatto che non sono mai riuscita a «tirarmela».
Le mie sedicenti amiche, per dire, mi dicevano – da adolescenti – che ero brutta e io ci credevo fermamente, as a pure matter of fact.
Divento giornalista – uno dei miei tre sogni – senza l’aiuto di nessuno, e quando mi chiedono che lavoro faccio tergiverso.
Pubblico un libro – il secondo dei tre sogni – e non faccio neanche la presentazione a Verona.
Che non sia questione di rilevanza – come posso dire? – «psichiatrica» mi è chiaro da mò.
Resta da capire se è cosa che vada cambiata oppure no.
In altri termini, se appartenga a una specie di cosa che potrei definire la mia natura o se sia la risposta autoconservativa e modificabile a input che chissà perché potrei magare giudicare minacciosi.
I’m working hard on it.
I’ll get out of it.
E vattelapesca perchè mi viene l’inglese.
Sorry.
Non è perchè sono cose tue e non te ne f…e un c…o di tirartela? Se è così, come credo, allora sei sanissima. Chi ha dei problemi è chi non si sente realizzato se i suoi “successi” (che possono benissimo essere delle sonore stron…e) non li conosce almeno mezzo mondo (e non una persona di meno).