perché questa lentezza, signor englaro?

fa_male1

Perché la vicenda di Eluana è dovuta avvenire in pubblico?
È veramente, come dice Ezio Mauro (grazie, Anna) – e come dicono molti altri, in realtà – il prezzo pagato da un padre al risultato che «solo così, portata in pubblico, la tragedia di quella figlia» potesse servire «a qualcosa, a qualcuno»?
È veramente il prezzo pagato a che quei 17 anni potessero acquistare «un senso per tutti, quasi un insegnamento»?
A Mauro «sembra un gesto d’amore, supremo, che nasce dal profondo di una desolazione e di un abbandono, perché l’una e l’altro non siano del tutto inutili, visto che già sono purtroppo inevitabili».

un uso immondo

A parte l’imprevedibile cinica e dolosa ostinazione con cui la vicenda è stata usata e ancora sarà usata come arma di distruzione della coesione istituzionale (nessuno poteva immaginarlo), c’è qualcosa nella fiera determinazione di quest’uomo che sfugge alla mia capacità di comprensione.
È ovvio, però, che la mia comprensione non è la misura del mondo, e che non è dalla comprensione che nasce il rispetto.

le mie scuse

Ma ancora una volta devo partire da me; chiedo scusa. È una necessità che può produrre esiti asfittici, ma è tutto ciò che ho a disposizione per dire qualcosa di argomentabile.

gli anni del no alla «ghettizzazione»

Gli anni in cui s’è consumata la vita «ferma» di Eluana sono stati quelli in cui è diventato chiaro a molti di noi che non era più il tempo della speranza «politica».
Quando mio fratello era piccolo, i miei genitori erano «autorizzati» dalle cose a pensare che sarebbe arrivato un giorno in cui, verosimilmente, i bambini handicappati avrebbero lasciato le loro scuole speciali e sarebbero entrati nella scuola di tutti (anche se purtroppo, ma questa è tutt’un’altra storia che in tempi di maestro unico può venir recepita malino, con la propaggine «ghettizzante» – ah, come invecchiano le parole – di un insegnante di sostegno).

il «pubblico»; altro che il «privato»!

Si poteva pensare che avesse un senso ragionare di ciò che all’epoca si chiamava «pubblicizzazione dei servizi», ovvero la messa a disposizione dell’ente pubblico (l’Usl: nasceva il servizio sanitario nazionale, in quegli anni) di tutte le professionalità – fisioterapisti, logopedisti, fisiatri… – originariamente assunti dalle associazioni di familiari che privatamente si erano costituite.

le case-famiglia (leggi: il privilegio)

Si poteva pensare che avesse un senso ipotizzare quel che si chiamava un sistema di «case-famiglia» per dare vita di dimensioni domestiche alle persone che non sarebbero mai diventate autosufficienti (quelle case-famiglia di cui parla Clara Sereni da me commentata in un post di qualche tempo fa; nel frattempo però diventate strutture del privilegio, in una parola; a quelli per cui il Corriere della Sera Style Magazine ha un senso, le case-famiglia in Umbria-Marche-Toscana-campagne-di-qualunque-altro-posto-o-centri-cittadini-attrezzati; agli altri, gli istituti pubblici che hanno altri bellissimi nomi ma sono luoghi in cui si aspetta di morire fingendo di fare ippoterapia. Chiusa la parentesi).

eccesso d’ottimismo?

Ma adesso?
Dal 1992 a oggi?
Cosa si poteva immaginare che potesse nascere – politicamente, dico – dall’esperienza di Eluana Englaro?
L’affermazione del diritto di ciascuno a scegliere il momento della propria morte quando non gli era più possibile vivere?
Si poteva veramente pretendere la possibilità di determinare per via di legge il fatto che la legge non c’entra con il punto della morte?
Potevamo attenderci veramente questo?

il polacco

Non sono una delle estimatrici più convinte del papa polacco, nient’affatto, perché per come la vedo io (ma ho il vantaggio di scriverlo solo ora, a posteriori; giuro, però, che lo penso da molto) il suo pontificato ha costituito un’ottima base di partenza per quello del successore tedesco, checché ne vogliano pensare coloro che vedono in Ratzinger l’alfiere di una svolta «nera» assolutamente imprevedibile.

l’egemonia culturale

Beh.
Per tornare al punto: poteva veramente Beppino Englaro pensare che accanto a sé, in questa battaglia suprema per Eluana, avrebbe trovato pezzi di mondo politicamente in grado di costruire una sia pur temporanea e «sentimentale» egemonia culturale?

le condizioni

Naturalmente, con questo non sto dicendo né che il signor Englaro non avrebbe dovuto «pubblicizzare» la vicenda di Eluana perché non ce n’erano le condizioni politiche e culturali, né che se ci fossero state la situazione sarebbe stata diversa, né – men che mai – che quei genitori che come i miei poterono pensare (sbagliando, peraltro!) negli anni Settanta che un altro mondo era possibile per i loro figli handicappati (e so benissimo che Eluana, a dispetto delle comodità di Sacconi, handicappata nel senso di disabile non è mai stata) erano genitori intelligenti, loro sì, e à-la-page.

una direzione univoca

Sto però dicendo che tutto quel che si è mosso dal 1992 a oggi aveva – per me che lo guardo adesso e da qui – una direzione univoca che, per riprendere e giustificare l’inciso di prima, mi pareva ben rappresentata anche dalla figura di Wojtyla, nonostante il suo decantato (e ai miei occhi francamente inutile, ma è un problema mio) ecumenismo.

in regola e in pubblico

Immagino che quando la battaglia viene fatta per qualcuno che si ama quasi più di se stessi (o più di se stessi tout court) ogni difficoltà possa facilmente venire non dirò sottovalutata ma semplicemente considerata parte inevitabile della battaglia.
Ma anche così non so capire perché il signor Englaro ha sentito questo bisogno di fare le cose:
a) «in regola», chiedendo l’autorizzazione a magistrati e politici di ogni ordine e grado; e
b) in pubblico.

la comune condizione umana

Penso che sia una scelta che merita enorme rispetto, perché rappresenta la prova provata del fatto che quando la vita ti mette di fronte curve e salite difficilissime, una delle vie maestre per affrontare la strada è far partecipi gli altri della comune condizione di umanità (dolente, anche) a cui tutti paghiamo inevitabilmente dazio.

una legittima «pretesa»

Penso che il signor Englaro sia stato nel giusto, quando ha preteso che di Eluana si facesse carico il «mondo», ovvero il consesso di tutti coloro che, con diversi gradi di responsabilità sul realizzarsi degli eventi «esterni» della vita sociale, condividono la drammaticità della condizione umana.

non scomparire

Penso che, perso il suo posto nel mondo di chi si muove, si autodetermina e sceglie, Eluana avesse ogni diritto di non scomparire, di esserci, di entrare nel campo visivo sociale a reclamare i suoi diritti.

la «scomparsa» dietro di lei

Penso che la solitudine titanica del signor Englaro – e la sostanziale invisibilità della moglie, figura di malata che l’invisibiilità ha rivestito di statura tragica – siano nate dal fatto di aver voluto egli scomparire dietro l’immagine non vista (è un paradosso) della figlia, checché ne possano dire quelle persone di chiesa così opache dentro da riuscire a pensare che quest’uomo intendesse «farsi pubblicità».

l’età che chiamano adulta

Ma se una delle caratteristiche costitutive dell’età adulta (almeno per come l’hanno raccontata a me) consiste nell’approntare, analizzato il contesto e interiorizzatine i vincoli e le risorse, i mezzi congrui a un rapido ottenimento dei fini, perché il signor Englaro ha scelto questa via?

qual è il messaggio?

Stava tentando di dire qualcosa a se stesso? A Eluana? A tutti noi?
E che cosa?
Perché ha voluto espiare facendo fronte a tutta questa volgare violenza?

queste sono solo domande mie: non chiedo risposta

Io vorrei essere chiara: non penso assolutamente che il signor Englaro o chiunque altro debba spiegazioni a qualcuno, chiunque sia.
E penso che i motivi per cui chiunque decida di agire in un modo invece che in un altro siano tutti soggettivamente legittimi.
E penso che il signor Englaro abbia tutt’altre cose da fare, ora, che preoccuparsi di rispondere a domande come quelle che chiunque – me compresa – possa aver voglia di fargli in assenza di occupazioni migliori.

e niente doppia morale

E sono anche sicura che su di lui, su sua figlia e su sua moglie si sia consumata un’immonda commedia di finzioni tale per cui se anche io fossi stata una strenua difenditrice della vita alla maniera di Ratzinger («basta che la respira», direbbero a Verona) io avrei pensato che quest’uomo e queste due donne erano più veri, umani e autentici di qualunque tipo con la gonna o con doppia moglie e doppia morale.

perché la lentezza di questa morte?

Però la domanda mi resta.
Perché?
Perché non in Svizzera, per esempio.
Perché la lentezza della morte è diventata un valore, agli occhi del signor Englaro?