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i maghi del new york times
Segnalo una cosa bellissima.
Veramente bellissima.
A questo indirizzo, si trovano tutti tutti tutti i discorsi di insediamento di tutti tutti tutti i presidenti degli Stati Uniti.
Di ciascuno vengono segnalate le parole più usate, e viene detto quante volte sono state usate.
Se si clicca sulla parola, si apre una finestra nella quale compaiono tutti i passaggi di tutti i discorsi di tutti i presidenti in cui quella parola è comparsa.
Meraviglioso.
Interessantissimo.
Per dire, George W. ha pronunciato ben 27 volte, nel 2005, la parola «freedom».
La parola più pronunciata da Obama – quindici volte – è «nation»: come Bush piccolo nel 2001.
Coincidenza interessante, no?
Grazie mille per la segnalazione, questa sezione mi era sfuggita: e’ un’idea decisamente brillante.
Sull’edizione di oggi c’e’ anche la bellissma galleria fotografica dell’entourage di Obama, l’avrai senz’altro vista:
http://www.nytimes.com/packages/html/magazine/2009-inauguration-gallery/
(tra l’altro vi si scopre che Jon Favreu, lo “speechwriting director” di Obama, ha 27 anni!)
Molto bella anche l’idea della foto del giuramento, con zoom e nomi delle persone ritratte:
http://www.nytimes.com/interactive/2009/01/20/us/politics/2009-inauguration-zoom-photo.html?hp
Ok, basta cosi’: scusa l’entusiasmo, ma io amo il NYT, sia come giornale che per il loro sito (il migliore che conosca, di un giornale online) 🙂
L’impressione di un discorso nazionalista e sociale l’evevo colta nell’ascoltaro e la statistica confemra assai questa impressione. Direi inoltre che per Bush la nazione era più territorio ed elite dirigenti, mentre per Obama appare popolo e classi sociali. …ed il tutto non è detto che sia solo di buon auspicio. Da nazione, comunità e socialismo (progressismo nel linguaggio “bianco” democratico) l’approdo non è scontato.
Non so, non sono in condizione di valutare bene.
Mi ricordo ancora il discorso di Bertinotti quando diventò presidente della Camera: niente di che, pensai, ma alcune parole, alcuni concetti, sono tornati a far parte del discorso pubblico.
Le sue parole, pensavo, daranno legittimità alle parole degli altri, a quelle che gli altri non erano quasi più legittimati a pronunciare.
I fatti sono stati diversi, forse anche perché il governo Prodi è durato troppo poco per incidere nella creazione di un milieu culturale; o forse soprattutto perchè la stranezza era che Prodi avesse vinto le elezioni, con il tipo di cultura che imperava e impera.
Però di questo discorso di Obama sento di dire la stessa cosa: nel discorso c’erano gli atei, c’erano le donne, c’era il pianeta, c’era il viaggio. Son parole che forse si potranno, ora, continuare a dire.
Sono concetti che forse si sono riguadagnate una cittadinanza.
Certo: nel discorso c’è anche Dio – e io mi domando perché – ci sono perfino le scritture, c’è il patriottismo.
Cose che a me interessano molto meno, se non per niente.
Però penso che sia compito nostro acchiappare al volo qualcuna di quelle parole e impegnarci per riempirla del suo senso, per comunicarla ai bambini che abbiamo di modo che ne conservino memoria.
Parole diventate obsolete come «lavoratori», «redistribuzione», «uguaglianza», «diritti», «istituzioni», «Resistenza», «Repubblica», «antifascismo» sono davanti ai nostri occhi.
Noi possiamo continuare a usarle.
Dobbiamo aprire ogni piccolo varco, anche quello – minuscolo – delle parole di Obama.
Magari non funziona, ma non vedo altra strada per dare un’opportunità alla custodia e alla rivitalizzazione di questi – dio, se detesto questa parola! – «valori».
@Kalle
Bellissimi quei due link!
Parlando agli americani, visto che è il loro presidente, non poteva fare a meno di citare Dio e le scritture. Inevitabile e necessario.
Per il resto ha aperto tantissimo. Limitando il mio commento all’aspetto religioso/culturale è andato oltre allo scontato, da loro, concetto di Dio della bibbia (ebraico e cristiano) ha esteso alle altre religioni (soprattutto al tabù dell’islam) ed a chi un credo non ha o si fa delle domande in proposito (altro tabù molto forte negli US).
Dal mio personale modo di sentire il ragazzo (visto che è nostro coetaneo) gode di una grandissima riserva di credito. Foss’anche solo in ragione di impossibili paragoni con quelli di casa nostra o con il suo predecessore.
Sì, Andrea, lo so che non poteva non riferirsi a dio; ma quel che volevo capire è perché.
Quali pezzi interiori collettivi «tranquillizza», il riferimento a dio.
Sociologicamente e contestualmente capisco il senso del ricorso al concetto religioso; mi manca l’aspetto individuale, l’eco che nell’individuo viene mossa da questo riferimento all’ortodossia.
Dopodiché, sì, è vero: ha parlato non solo di Islam, ma anche – lo scrivevo prima – di gente che non crede.
E non mi pare poco.
Anche quella è una «parola» dalla quale penso che dovremmo ripartire.
Non ho potuto fare a meno di notare il valore simbolico del giuramento alla nazione nelle mani di un giudice della corte suprema e la fedeltà alla costituzione.
I paragoni che mi vengono in mente sono:
– Le comparsate a “porta a porta” con patti di pura invenzione e mai rispettati.
– La corte costituzionale (nel nostro caso) è considerata un impedimento figuriamoci se puo essere vista come simbolo della garanzia della legalità nazionale.
– La loro che ha 230 anni viene ritenuta ancora valida e sacra mentre la nostra, cinquantenne, alcuni la considerano poco più che un regolamento condominiale e comunque obsoleta ed un impedimento ad uno stato moderno.
Vabbe, mi sto facendo del male da solo.
Sì, ti stai facendo male, ma non da solo.
A te e agli altri il male lo stanno facendo altre persone.
Per fare del bene a te stesso, tu potresti al massimo fare spallucce.
E comunque mi viene anche da dire che l’armamentario iconografico della cerimonia a me ha dato un pochino fastidio.
Aveva un vago sapore gardalandiano.
In ogni caso, dici una cosa tragicamente vera: là si giura nelle mani di un giudice (occhio, però: là sono elettivi…), e su una Costituzione più vecchia e più rispettata della nostra (occhio, però: è una costituzione «minimale», ben diversa dalla nostra).
Con tutto questo, è comunque ovvio che dici una cosa giusta: i giudici hanno il rispetto del presidente e in generale, immagino, della politica; e la Costituzione viene considerata sacra perchè se ne ricordano il senso e la storia.
Loro non eleggono un presidente ma un re pro tempore (questa è una citazione). E’ nella storia della loro nascita come repubblica in un periodo di regni.
Abbiamo assistito ad una incoronazione, coniugata al loro stile (e non dico altro).
Vogliamo forse parlare del vestito agghiacciante di Michelle?
Una specie di conchiglia incrostata di damaschi dorati, cappottella foderata di bianco (di bianco!!!), scarpine verdi (verdi!!!) e guantini verdi corti (verdi corti!!!).
Sarà anche priva di pretese, ma bastava un vestitino longuette scivolato di qualunque colore e un cappotto mediamente scuro!
E la moglie di Biden? Con lo stivalone taccato da valchiria, gonna sopra al ginocchio (sopra al ginocchio!!!) e calza chiara (calza chiara con lo stivale a tacco alto!!!).
E le coccarde bianche-rosse-blu?
Il palchetto modello meringa?
ma certo ha aperto una possibilità che prima non c’era, e con lo possibilità si aprono i rischi!
Circa il discorso di Bertinotti ed il suo linguaggio sarebbe cosa lunga ed interessante. Tra i suoi limiti, oltre quelli personali, leggo proprio anche e soprattutto la fiducia nel superare i rapporti di forza con l’evocazione di scenari più che con l’azione molecolare.
Ecco anche di Obama preoccupa questo. Il suo progetto prevede di cambiare la società americana, affinché esca dai SUV ed accolga con un bacio gli immigrati poveri alle frontiere…
Hai ragione.
Forse è che siamo in una fase culturale nella quale non basta evocare per ottenere «comunità».
Io ero minuscola, ma ricordo le battaglie (ecco un’altra delle parole che s’è sgonfiata fino a mutare del tutto senso) per l’inserimento scolastico degli handicappati come momenti epici che si nutrivano non solo di sé stesse, ma di un contesto.
€ il contesto culturale ad essere avverso.
Mentre le parole cambiavano di senso noi siamo stati zitti.
Noi giornalisti abbiamo invece urlato proprio quelle parole lì, e ormai il terreno è questo.