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garantisti da popolo bue
Sull’angolo in basso a destra del mio monitor continuano a comparire dichiarazioni di gente che si dice scandalizzata per il fatto che il giudice per le indagini preliminari abbia concesso gli arresti domiciliari al ragazzo accusato di avere stuprato una ragazza nella notte di Capodanno, e contenta per il fatto che il prode Alfano ha mandato i suoi bravi a fare un’ispezione negli uffici giudiziari in cui opera quel gip.
io non giustifico niente
Non ho neanche la più lontana tentazione di farmi toccare dalla benché minima indulgenza nei confronti di chi esercita violenza sessuale su una donna, naturalmente.
Ma io mi domando se gente come Cicchitto («La decisione del gip è incredibile»), Vittoria Franco del Pd («Una decisione che indigna»), Alemanno («I domiciliari sono un segnale sbagliato»), Isabella Bertolini («Le forze dell’ordine arrestano e la magistratura manda a casa i colpevoli») ha una VAGA idea del modo in cui funziona il diritto penale.
i tre gradi di giudizio valgono solo per loro
Questi idolatrano la parola «garantismo», e poi dimenticano che:
a) ci sono due gradi di giudizio, nel merito, e un vaglio finale di legittimità, che spetta alla Cassazione; solo dopo che una sentenza sia passata in giudicato si può dire che un cittadino è colpevole.
Ma naturalmente questa cautela va bene per loro, non per uno qualunque.
se non sanno l’abc, che vadano a nascondersi
b) Ci sono tre motivi per cui in questo Paese si può essere privati della libertà personale PRIMA che sia stata pronunciata una sentenza che DEFINITIVAMENTE acclara la colpevolezza di un cittadino.
I motivi sono elencati all’articolo 274 del codice di procedura penale, quello che disciplina le misure CAUTELARI; il che vuol dire con ogni evidenza che non si tratta di una punizione per un reato, ma – appunto – di una CAUTELA che si rende necessaria se a giudizio del magistrato c’è il pericolo che un indagato (che non è ANCORA condannato, ricordo) inquini le prove a suo carico, possa fuggire, o possa compiere nuovamente il reato per il quale è indagato o altri reati.
i domiciliari come le maldive
c) I domiciliari sono a tutti gli effetti e senza alcun dubbio una misura cautelare che priva l’indagato del bene della libertà personale. Sono senz’altro una misura meno afflittiva del carcere, ma non prefigurano in nessun modo un pre-giudizio favorevole all’indagato, né significano che il giudice pensa che il reato per il quale è in corso l’azione penale sia una bazzecola.
Rappresentano – come dire? – uno dei primi gradini nella scala delle misure cautelari; non sono una gita al luna park, né un viaggetto alle Maldive.
Chi parla di scandalo-domiciliari vorrebbe forse veder scorrere il sangue?
O gli vanno bene solo i domiciliari di Coppola, di Previti e di chiunque abbia un suo fottuto prestigio da far valere in qualche modo?
chi sono i veri forcaioli
d) Infine: quelli che fanno veramente i processi sommari sono loro, quelli che si lamentano che quel ragazzo non sia stato gettato nella segreta puzzolente di un maniero della quale sia stata buttata in mare la chiave!
Sono loro che hanno già processato e condannato senza neanche passare che dico da una sentenza di primo grado, ma neppure dall’indagine preliminare!
E ogni volta è la stessa fottuta storia: gente che chiede pene esemplari, gente che dice che in Italia nessuno va in galera, gente che dice che i problemi sono le intercettazioni telefoniche…
un po’ di pudore, per pietà!
E nessuno – nessuno di questi odiosi soloni che non hanno mai letto lo stramaledettamente semplice e chiaro articolo 274 del codice di procedura penale – che abbia il pudore di rendersi conto che le condanne le stanno pronunciando loro, loro per primi, prima di qualunque processo.
Alla faccia del garantismo.
Che si vergognino.
Che si vergognino.
Sono un insulto al diritto del mio Paese.
Sono un insulto a chi ha creduto nella legge.
Vogliono solo le leggi che piacciono a loro, cambiate ogni tre giorni a seconda dei loro comodi.
Vergogna.
sono pienamente d’accordo con te. Nella PDL sono pseudo-liberali, populisti senza alcun interesse per lo stato di diritto. Fa pena, ma purtroppo non sorprende, vedere che quelli del PD si accodano. Aggiungerei solo una cosa: queste posizioni fanno anche parte di una strategia e di una propaganda continua e martellante contro la magistratura, dipinta a seconda dei casi o come eversiva o come ‘buonista’, d’accordo coi delinquenti. E spostano l’attenzione del pubblico televisivo, che svegliandosi dal torpore catodico una volta potrebbe pure chiedersi perche’ il precedente sindaco di Roma era ritenuto responsabile per l’accadere degli stupri, e quello attuale non piu’.
Sì, è vero.
Aggiungici che l’apertura di Repubblica.it riguarda l’ammissione agli arresti domiciliari di questo ragazzo.
Come se dello stupro interessasse veramente qualcosa a qualcuno – se così fosse, non credi che la legge sullo stalking avrebbe avuto destino diverso? – come se questo fosse effettivamente un’emergenza di ordine pubblico scoppiata in questo momento.
Quello che mi fa stare peggio – a parte quel che ho scritto nel post e le aggiunte tue, ovviamente – è l’atteggiamento professionale dei miei colleghi, disposti a mettere in apertura una cosa del genere senza preoccuparsi di quale sia l’idea di mondo che accreditano.
E poi te li ritrovi a fare quelli di sinistra.
Io non so dove sia la via d’uscita, ma da qualche parte ci deve pur essere, perchè assistere a questa china è tremendamente doloroso.
E lo dico con tutta la consapevolezza che i dolori «veri» della vita sono altri.
Una volta di più mi ritrovo d’accordo.
E’ tremendo vedere con quanto consenso ci stiamo facendo prendere per i fondelli.
Però attenzione, queste persone sanno benissimo di cosa si sta parlando, è che stanno facendo un utilizzo polito/propagandistico delle loro dichiarazioni. Si tratta di una strategia politica di comunicazione vecchia come il mondo, che in Italia (e non solo) succede da sempre, soprattutto in situazioni che si prestano molto bene alla propaganda e al facile populismo. Non mi sembra una cosa di cui stupirsi così tanto, a meno che non si viva fuori dal mondo. Si tratta di un problema di cultura politica che non esiste in Italia, ma le responsabilità più gravi sono quelle dei giornalisti: tutte le domande e le perplessità sacrosante presentate nel post non vengono mai minimamente sfiorate dai giornalisti di turno, che si limitano a riportare le dichiarazioni del politico di turno inchinandosi e baciando la mano a fine dichiarazione.
Il problema lo sento molto fortemente, in effetti.
Però non sono sicura di essere completamente d’accordo con te, Giacomo, quando dici che è una cosa della quale non c’è da stupirsi così tanto a meno che non si viva fuori dal mondo.
Posso anche non stupirmi di questa «strategia politica di comunicazione vecchia come il mondo» perché comprendo il meccanismo, la sua standardizzazione e la sua efficacia.
Ma questo non mi impedisce di stupirmi che funzioni sempre, e che funzioni ancora, e che per me – per me che faccio la giornalista – nell’esercizio della mia professione non ci sia altro spazio se non quello di essere, in quanto pezzo di una categoria, utile idiota, e in quanto individuo semplicemente la portatrice di una inutile «testimonianza» che vale tanto quanto il proverbiale cucchiaino con il cui aiuto mettersi a svuotare il mare.
Non so che lavoro faccia tu, ma posso dirti con estrema sincerità che fare il mio lavoro e doversi misurare istante per istante, lancio di agenzia dopo lancio di agenzia, titolo dopo titolo, verbo dopo verbo, giorno dopo giorno, con una pioggia di lapilli di propaganda nauseante e fumi velenosi di «strategia politica vecchia come il mondo» è una tortura continua.
È una cosa che mi impedisce di fare spallucce, di fare la «superiore», di fregarmene, di dire a me stessa «ehi, ingenua! Ancora non hai capito che al mondo funziona così?».
Insomma.
«Testimoniare» è pesante, esige la capacità di gestire l’inevitabile conflitto che si crea fra chi intende almeno testimoniare, senza pretese, e chi invece riesce a intravvedere un rischio anche in quella testimonianza.
Significa rompere costantemente.
Rifiutarsi di scrivere un titolo in cui figura – per esempio – la parola «fannulloni» riferita ai lavoratori pubblici costa discussioni e guadagna inimicizie.
Prendi una qualsiasi prima pagina, o una qualsiasi pagina interna di un giornale; mettila a paragone – se hai tempo e voglia – con le cose che io scrivo qui, e poi prova solamente a contare quante volte una semplice «testimone» inutile come me si rompe le palle a discutere e a tentare di modificare ciò che è in suo potere modificare.
E poi dimmi se ha senso dire che non è il caso di stupirsi a meno che non si viva fuori dal mondo.
Magari sarà anche vero che per stupirsi di tutto questo bisogna essere fuori dal mondo.
Che bisognerebbe essere finalmente cinici, fottersene un po’, aspettare tempi migliori, accontentarsi di quel che c’è, costruire cose piccole e vedere che cosa succede.
Magari bisognerebbe semplicemente essere finalmente capaci di isolarsi nel proprio castello fortificato.
Ma io non ci riesco.
Non ho abbastanza privilegi di partenza per poterci riuscire.
Questo già basterebbe.
Ma in aggiunta, e ad aggravante, credo di portare una responsabilità per il lavoro che faccio.
Infine: sarà anche una strategia vecchia come il mondo.
Ma io sotto il fascismo non c’ero.
Non lavoravo in un giornale che si alimentava dei lanci dell’agenzia Stefani.
Per me questo è il primo periodo della vita in cui faccio esperienza della pervasività pericolosissima di questo genere di propaganda preparatoria al fascismo, per giunta non ostacolata dalla presenza di un reale, credibile e articolato pensiero alternativo (Grillo? Veltroni? Ferrero? Vendola? D’Alema? Stella? …?).
Perciò, il fatto che la strategia sia vecchia come il mondo mi è di scarsissima consolazione.
No.
Mi correggo.
Di nessuna consolazione.
Ho lavorato in un quotidiano e in un settimanale (entrambi sportivi), ora scrivo per un mensile. Da sempre lavoro con un ruolo misto giornalista/autore con le radio (da radio deejay a radio padova, dove ora sono il responsabile dei contenuti), quindi conosco bene il mondo di cui si sta parlando. E comunque non ho mai voluto prendere la tessera dell’ordine, nemmeno come pubblicista, per una serie di motivi che non sto qui a spiegare (ma che emergono anche dal tuo post).