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amanda sorride, che schifo
Leggo qua e là che i titoli delle gallerie di foto di Amanda Knox sono cose come «Amanda sorride», o addirittura – massima vergogna – «ride in aula».
Secondo qualcuno, Amanda fa niente di meno che uno «show».
Non è che venga detto esplicitamente (siamo gente di mondo, eccheccazzo), ma il sottotesto di titoli come questi è «mio dio, che mostro: ha ammazzato la sua migliore amica Meredith Kercher e se ne frega. Riesce perfino a sorridere!».
Che stupore, eh?
Per poter meritare l’educata noncuranza dei giusti, un’assassina schifosa dovrebbe avere almeno il pudore di smettere per sempre di sorridere; il pudore di non scrivere più una riga, di non pensare mai più alla propria vita, di non guardare il cielo, di non godere la vista del sole, di avere sempre freddo, di evitare di stare fisicamente bene, di astenersi dall’essere bella e possibilmente giovane (salvo poi popolare i sogni di uomini in cerca di emozioni forti: quello lo può fare, in quanto definitivamente «perduta» e definitivamente «puttanizzata»); insomma: dovrebbe lasciar perdere qualunque speranza per la propria esistenza.
Corrispettivamente, sarebbe carino se tenesse permanentemente il volto atteggiato a un’espressione di pentimento profondo, istante per istante, e se soffrisse comunque moltissimo, per esempio dotandosi di qualche opportuno dispositivo appuntito collocato nei distretti corporali di maggior sensibilità tattile e nervosa.
Insomma. Amanda dovrebbe evitare di vivere una qualunque quotidianità routinaria, anche se è rinchiusa in una cella.
Ognuno ha la sua quotidianità, e non è che ne possieda altre.
Ognuno si deve per forza misurare con la propria.
Il boss Setola, che va a bersi il caffè dopo un omicidio.
Il chirurgo, che va a cena con la nuova fiamma dopo che un paziente gli è morto sotto i ferri.
Il giornalista, che quando accade una strage qualunque alle undici e mezzo di sera dice cose come «ma questi stronzi non potevano morire alle sette, così a quest’ora andavo a casa?».
Ma invece, non c’è niente da fare: in pubblico, gli altri devono sempre servire a noi; devono essere sempre funzionali alla nostra idea di mondo; devono sempre rassicurarci sulla nostra identità di persone «buone» e corrette.
Devono farci dimenticare che anche noi, all’occorrenza, siamo cinici, bastardi, cattivi e stronzi.
Cioè, in una parola: devono farci dimenticare che noi siamo normali.
A parte che io non sopporto si riferiscano a queste persone con il nome proprio e non con il nome completo. Il moralismo anni cinquanta, si spera per andare dietro al moralismo dei lettori, fa veramente pena. Poi dicono del midwest americano.
Parli dei titoli che chiamano la ragazza «Amanda» e non «Amanda Knox»?
si’, i vari “Amanda”, “Rosa”, “Olindo”, etc.
Hai ragione: suggerisce una prossimità condiscendente che dà molto fastidio.
Però – non che valga a scusante – i titoli dei giornali non hanno quasi mai abbastanza spazio da poter contenere nome e cognome.
Certo: si potrebbe scrivere il cognome invece che il nome di battesimo.
Però io non sopporto neanche quello, soprattutto se riferendosi a una donna non si mette l’italianissimo articolo «la» (Turco, «la» Melandri, eccetera).
Mi sa di politically correct, di pretesa di modernità.
Esattamente come «in Fiat» invece dello storico «alla Fiat», o l’orrendo, spezzacuore, «in Bocconi», invece che «alla Bocconi».
A cascata: «Il presidente di Alitalia» (dell’Alitalia!!!): una personalizzazione delle aziende che sta benissimo coi tempi che viviamo, «aziendo-centrici».
Come dici tu: perche’ non usare il cognome. Ad es. “La Knox”.
E’ proprio la finta familiarita’ che produce idiozie del calibro di “Amanda sorride”. L’uso del nome proprio e’ adeguato al colore, alla risonanza, all’effetto da feuilleton che in realta’ si vuole produrre in questi casi. Una cronaca intitolata “La Knox sorride” suonerebbe come una notizia assurda, quale e’ in effetti.
Hai ragione.
Interessante leggervi a poche ore dall’assoluzione in appello di Amanda Knox, gli avvocati sono stati maestri a utilizzare lo show a favore della loro assistita e hanno ottenuto un grande successo giudiziario.
Matteo, temo che tu abbia creduto erroneamente che il post – scritto il 17 gennaio 2009, e cioè durante il processo di primo grado, quello al termine del quale Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati per omicidio – parta da posizioni innocentiste.
Quel che c’è scritto qui sopra ha un suo perché sia che Amanda sia colpevole sia che Amanda sia innocente.
Gli avvocati non c’entrano.
Dicevo che quando qualcuno è incasellato in un’identità, non c’è verso di uscirne.