l’accendino che è in me

Sotto una pioggia e un vento abbastanza irlandesi ma immersa in un odoraccio di smog sostanzialmente italiano, stamattina ho visto un ragazzo che si infilava in una rientranza di un muro, cercando di appiattirsi in direzione della vetrina sporca di un ufficio in disuso.
La cosa mi è sembrata strana e familiare allo stesso tempo.
Poi ho visto che tirava fuori qualcosa dalla tasca.
Era un accendino.
Ecco!
Mi ero dimenticata dei mezzucci ai quali tempacci come questo obbligano i fumatori!
Il vento che spegne la fiammella del cerino o dell’accendino, a meno che non si sia capaci di fare conca con la mano (abilità sovranamente maschile), la pioggia che bagna la carta della sigaretta…

Nessuno ti racconta che quando smetti di fumare ciò che cambia non è soltanto un’abitudine ma proprio l’intera identità e l’immagine di te: trasgressivo oppure no? Impudente oppure no? Attento alla salute oppure no? Schiavo di una dipendenza o «assaporatore» di un piacere?

L’altra notte ho sognato che avevo ripreso a fumare, e che accendendo una sigaretta pensavo «ma questo significherà che ho ripreso veramente, o – con la scusa che è notte e sto dormendo – in realtà queste poche sigarette che sto fumando sono una cosa tra parentesi?».
Quando mi sono svegliata avevo mal di gola.
No.
Un momento.
Non sto dicendo che m’è venuto mal di gola perché avevo fumato in sogno.
Dico che siccome avevo mal di gola, mi sono inventata un sogno compatibile col mal di gola, una storia che al mal di gola poteva tranquillamente dare una spiegazione.
E la spiegazione più semplice al mal di gola, anche se sono più di due anni che ho smesso di fumare, è ancora la sigaretta.
Perfino se è inverno e piove da giorni.

Si resta fumatori latenti per sempre, forse.
Alla faccia del cambiamento d’identità.

P.s. per la Paola: la foto che illustra il post è parte di una foto che ci è stata fatta a Firenze la sera prima del tuo matrimonio. Ti ricordi?