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il vostro dialogo ficcatevelo nel naso
Leggo sulla homepage di Repubblica.it che lui – anzi: Lui – «chiude al dialogo» e vuole cambiare la Costituzione.
Basta, per pietà.
Per pietà.
Ma cosa vuol dire «dialogo»?
Basta.
P
e
r
p
i
e
t
à
ààà
ààààà
Il dialogo è: quando lui parla gli altri stanno zitti, ogni tanto annuiscono ed alla fine gli dicono bravo.
Le ex calendariste possono permettersi qualche effusione in più.
Chiudere al dialogo è: la stessa cosa solo che gli altri non hanno nessuna voglia di annuire ne tanto meno di dire bravo. Un po’ gli prudono le mani (anche se cercano di non darlo a vedere) e forte è la tentazione di esercitare la sublime e de’filippiana arte del pernacchio.
Ti giuro: vedere arrivare OGNI GIORNO OGNI ORA E QUASI OGNI MINUTO dispacci d’Ansa con la parola Berlusconi mi sta prostrando.
Berlusconi: ora li ammazzo tutti.
Berlusconi: il cane non c’era, a casa.
Berlusconi: il mio governo è il paradiso.
Berlusconi, Ue: pronto al veto.
E-S-T-E-N-U-A-N-T-E.
Non ha pietà.
Un incubo, un’odissea, una marea continua…
Capisco lo stato d’animo. Poi si lamenta se lo prendono per il c..o.
Qualche settimana fa sono stato un po’ di giorni all’estero. Nessuna notizia del tizio ne tantomeno dell’agonia del PD. Mi pareva un sogno.
Ed io non posso paragonare il tuo livello di esposizione. Il paragone che posso fare è che dovrebbero darti il sensore come ai tecnici radiologi.
Potresti chiedere qualche indennità aggiuntiva per il lavoro usurante.
il dramma è che dovremo tenercelo ancora per qualche anno (se non cade – spero – prima, anche se nutro dubbi stavolta); ed un altro dramma è che dall’altra parte non vedo una valida alternativa (non dico comunisti vecchio stampo, ma nemmeno questo pd…).
decisamente meglio peppone…
Ma figurati se cade, Aldo…
Lavorare in un giornale è uno straordinario modo per capire quanta mer** la gente è disposta a ingoiare in letizia di cuore.
Accettano tutto, i lettori.
Figuriamoci gli elettori.
Pensa che ormai non serve più che un giornalista si incarichi di capire, di fronte a un fatto anche minimamente controverso, quale può essere la realtà delle cose.
No.
Adesso basta che si faccia parlare uno a favore e uno contro (dando più spazio alla posizione che meglio rappresenta la proprietà del giornale o la tendenza politica che si intende favorire come giornale; ma si tratta perlopiù della stessa cosa), e tanti cari saluti alla possibilità di far capire al lettore come stanno veramente le cose.
Esempio.
C’è un gruppo di familiari di anziani in casa di riposo che dice che gli anziani sono trattati male, che qualcuno muore in circostanze – come dire? – misteriose?
Bene.
Si scrive che i familiari si lamentano.
Poi si scrive che i capi dell’ospizio dicono: «Tutte cazzate, è un linciaggio mediatico, la verità è che i familiari non vogliono abbastanza bene agli anziani che ci lasciano qui, e invece noi sì che gli vogliamo bene, figuriamoci se gli faremmo mai del male, ai nostri vecchietti; qui c’è personale preparato, e i familiari sono vittime dei loro sensi di colpa».
Poi si scrive che – «carte alla mano» – le cose son diverse da come dicono gli «accusatori».
E nessuno – dico NESSUNO – che si prenda la briga (anche perché sarebbe poi da vedere se te li farebbero pubblicare, magari) di andare a prenderle, quelle «carte alla mano».
Che approfondisca.
Che faccia capire.
Macché.
Han parlato tutte e due le parti?
Abbiam dato più spazio ai capi?
Se per caso ha reagito una parte politica – ovviamente, com’è nelle cose, si dovrebbe trattare delle minoranze – abbiamo detto che «non si può buttare in politica una cosa così delicata? Abbiam detto che non si può strumentalizzare il dolore della gente (a meno che non si sia – ovvio – in posizione di potere: perchè altrimenti questo non solo si può, ma si deve fare, e tutti ti difendono).
Beh.
Se abbiam fatto queste tre cose siamo a posto.
E chissenefrega se i lettori non capiscono niente.
Perché ai lettori, in realtà – bisognerà pur che qualcuno lo dica – non gliene può fregare di meno di capire come vanno le cose.
I lettori sono de-fi-cien-ti.
E se non lo sono di loro, li abbiamo senz’altro deficientizzati noi, o qualcun altro; cosa importa, ormai?
Per Andrea.
E sai un’altra cosa?
Nella grande maggioranza delle redazioni – in modo comunque normato dai contratti, per carità – si lavora sei giorni su sette, e non cinque su sette come prevedrebbe il pur scaduto contratto collettivo nazionale, con la conseguenza che ogni anno si lavorano 52 giorni in più, e molti di questi 52 giorni sono domeniche e festivi.
Ogni sette anni, insomma, lavoriamo un anno in più.
Sette anni di lavoro nominale, otto di lavoro effettivo.
E nessuno che si sia mai fatto venire in mente – né l’istituto privatizzato di previdenza, né il sindacato di categoria, né l’ordine – che questo dato di fatto ha conseguenze serie a fini pensionistici.
Se devo andare in pensione dopo 35 anni di lavoro, in realtà quei 35 son 40. E nessuno me li riconosce.
Per carità: i medici lavorano con turni anche notturni massacranti; gli infermieri anche…
Però cinque anni di lavoro in più sono cinque anni di lavoro in più, ca***.
Avevo proposto tempo fa di non parlare più del Banana.
Perfeziono la proposta: almeno noi “fruitori”, non LEGGIAMO né ASCOLTIAMO più notizie che parlino di lui. (lui… chi?)
Tanto, per il 101% sono stronz***.
Tanto, con queste meravigliose leggi elettorali con premio di maggioranza che abbiamo pecoronamente votato sotto Prodi, se la coalizione tiene, chi governa può fare quello che gli pare.
Anche cambiare la Costituzione.
E a noi non resta che la gastrite.
E allora, arrivederci alle prossime elezioni.
Ora, non ci resta che ribellarci. Oppure un buon sonno.
Bye! cometa
La ribellione la vedo malino, in effetti…
Ci farebbero secchi senza il minimo scrupolo.
Resta la sublime arte del pernacchio. Ogni volta che compare sullo schermo.