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geniali battute di caccia(ri)
Dice che «non è più il tempo delle mezze misure» ma non spiega perché è arrivata l’ora delle misure intere.
Dice che «nel lombardo-veneto» (e già la definizione di innervosisce) «la debolezza del Pd sta diventando strutturale», ma non spiega perché la sua idea potrebbe risolvere le cose.
Dice che «da noi, al nord, la situazione è più matura per ragioni economiche e sociali», ma non spiega quali sono le ragioni economiche e sociali che rendono un luogo «maturo» e pronto per fare che cosa.
Dice che al nord «c’è forte omogeneità politica nel perseguire quest’obiettivo», ma non spiega quali sono le ragioni politiche di quest’omogeneità politica, e scusate il bisticcio di parole.
Insomma.
Il sindaco filosofo Massimo Cacciari parla parecchio, in quest’intervista in cui poco gli domandano, ma non dice quel che conta.
A parte la ripetizione enfatica della trovata di voler fare una leghetta di finto-sinistra con cui poter liberamente mettere fuorilegge barboni e mendicanti senza farsi dare dei razzisti perché – eccheccazzo – lo si dice da sinistra e con il cuore in mano, Cacciari non spiega perché, con quale obiettivo vuole fare il cosiddetto partito democratico del nord, per fare quale politica, e qual è la supposta specificità del nord che esigerebbe la differenziazione, o meglio la scissione, di un partito già debole di suo.
Un bel po’ di anni fa – erano gli albori del populismo retorico del neo-federalismo di sinistra – intervistai esponenti del mondo politico, economico, sindacale e imprenditoriale del nordest per la rivista di una oggi lodatissima fondazione che all’epoca muoveva i suoi primi passi.
Domandavo a tutti la stessa cosa: convincetemi del fatto che qui e ora c’è bisogno di ciò che chiamate federalismo.
Tutti mi dicevano più o meno che «ce n’è bisogno perché il controllo dei cittadini è più facile quando il potere è più vicino».
E io chiedevo: «La facilità del controllo è inversamente proporzionale alla distanza fra controllore e controllato?».
E loro, tutti, senza distinzione di ruolo o di parte politica, rispondevano «sì, è così».
E io dicevo: «Ma allora, se è così, l’assemblea condominiale dovrebbe essere la massima espressione della democrazia!».
E loro, tutti, mi rispondevano: «No, cosa c’entra?».
E allora la prendevo da un’altra parte: «Ma davvero pensate che i territori abbiano una loro specificità?».
E loro: «Sì, eccome».
«Ma pensate che il territorio sia portatore di interessi omogenei?».
E loro: «Sì, certo».
«Ma come possono coincidere, per esempio, gli interessi di un lavoratore licenziato con quelli del datore di lavoro che lo licenzia?».
E loro: «Tutti e due hanno interesse a che giri l’economia».
«Ma se l’economia gira e le imprese redistribuiscono il reddito a proprio vantaggio e non a vantaggio dei lavoratori?».
Qui gli imprenditori si irrigidivano parecchio. Parecchi mi hanno detto che «se un imprenditore è un vero imprenditore reinveste gli utili in azienda, a beneficio di tutti».
«E se non lo fa?».
«Ma lo fa».
«E se no?».
«Lo fa».
«E se per far girare l’economia vogliamo costruire stabilimenti inquinanti, siamo sicuri che l’interesse del far girare l’economia sia un interesse del territorio e non di una sua parte, quella che preferisce guadagnare piuttosto che salvaguardare, per esempio, la salute?».
Si capisce che a un certo punto la conversazione doveva fermarsi, perché si scontrava contro un muro ideologico.
A me sembra che Cacciari si sia fermato su quel muro.
Che l’abbia costruito lui, anzi, per dar modo a noi che abitiamo qui a nordest di sbatterci addosso facendoci più male.
Viste le tante belle cose che ci sono da fare nella vita (tra cui leggere il tuo blog), non ho ritenuto di perdere tempo a impormi anche l’intervista di cui sopra, perché il soggetto da tempo mostra una presopopea pari solo al suo opportunismo politico, a sua volta superato solo dall’antipatia orgogliosamente ostentata.
Tristemente annoto come ancora una volta il governo non sia il conseguimento del bene pubblico e della pace e solidarietà sociale, ma il controllo dei cittadini.
Mentre dovrebbe essere il contrario: i cittadini dovrebbero avere gli strumenti per controllare chi governa, chi amministra, per sostenere e contenere chi è borderline. E questa, secondo me, sarebbe una forma di federalismo con un senso.
Mi irrita che una classe politica arrogante, ignorante ed irresponsabile abbia svalutato questa idea fino a farne una bandiera che veicola le peggiori istanze razziste e antisociali.
Ciao, cometa
Vi era un tempo in cui per chiamarsi filosofo bisognava ambire ad offrire una lettura della realtà che avesse qualcosa di innovativo, di non banale. Poi devono aver cambiato il vocabolario, sembra che ora lo scopo della filosofia (e in subordine della politica) sia ripetere l’esistente per fissarlo immutabilmente nel presente e nel futuro.
Comunque un riassunto della politica proposta temo che lo puoi trovare nelle intercettazioni degli assessori fiorentini prima che passassero rapidamente dalla “tolleranza zero” al garantismo.
Grazie, Cometa, e bentornato!
Dalovi, mi sa che sto diventando scema, perché questa cosa fiorentina mi toglie il sonno (per modo di dire, intendo)…
…e perché ti toglie il sonno? Pensavi che fosse un’isola felice? No. Non lo è mai stata ed i “poteri” (i “poteri forti” che quelli deboli poteri non sono) hanno sempre avuto un grande ruolo in città.
Ora che dopo un paio di decenni di immobilismo la città è travolta dai cantieri (ed alcune opere servono, figuriamoci), gli interessi del cemento fanno la loro parte da leone.
No, non perché pensavo che fosse un’isola felice, ma perché – se le intercettazioni dicono la verità – esse rendono per la prima volta conto (e in modo lampante, fotografico, come finora non era mai accaduto) dell’abisso in cui è precipitata l’informazione locale.
…ma tu credevi davvero di aver scritto un romanzo?
Comunque è tradizione storica di quella testata che ha attraversato vari scandali nazionali e locali in modi più o meno analoghi, magari senza le intercettazioni che rendevano palese quel che in tanti immaginavano. E se chiedi agli edicolanti cittadini perché viene acquistata rispondono davvero la storia dei necrologi.
Certo pensare che ci lavorano anche tante brave persone fa specie e interroga su come sia possibile per loro sostenere la cosa.
Sì, penso di aver scritto un romanzo.
Una cosa è vedere molto bene i puntini e collegarli creativamente con linee che coprono un tracciato ragionevole e costruiscono – insieme ai colori che riempiono gli spazi segnati – un quadro d’insieme verosimile; e altra cosa è vedere l’intero quadro, senza bisogno di interpolare.
purtroppo tu hai scritto più di un romanzo… e
No, Dalovi.
Che ci sia dentro un mondo credibilmente rappresentato in modo verosimile può senz’altro essere vero; ma non è un documentario: le storie, la trama e i personaggi sono inventati. Non esistono…