bondi. basta la parola

Sono stomacata da ciò che viene definito l’«appello» di Bondi – Bondi, il ministro dei beni culturali – a che i telegiornali indugino un po’ meno sui particolari della cronaca nera. Naturalmente, è un appello a fin di bene. Serve per tutelare i bambini, ovvio.

Riferendosi alla notizia di quel tale che, vestito da Babbo Natale, ha ammazzato un po’ di persone in California, Bondi dice: «Non ho potuto e saputo spiegare a mio figlio le ragioni di tanta cieca ferocia, che non ha pietà dei bambini e che avviene proprio alla vigilia del Natale, cioè nel giorno in cui la famiglia si riunisce nel segno del calore degli affetti».

Ora.
Bondi ha fatto una gran confusione fra cose, ha mistificato, ma, incredibilmente, è riuscito a centrare il punto: il problema di decodificare la complessità del mondo a beneficio dei figli, di ammorbidire le asperità del crudele e comune umano destino, di dare un senso all’insensato – ha ragione lui – è esattamente il problema dei genitori, di ciascun genitore; non dei telegiornali, dunque. Non dei giornalisti.

Mi sembra francamente insopportabile che si possa chiedere ai giornalisti di edulcorare la realtà, di nascondere le cose e di mimetizzare gli orrori, pretendendo che essi assumano un ruolo che spetta ad altri.
L’orrore è – come posso dire? – «proposto» dalla vita; e non sarà la gomma da cancellare di un giornalista a smaterializzarne la realtà.

Quanto alla «cieca ferocia» che – dice Bondi – «non ha pietà dei bambini e che avviene proprio alla vigilia del Natale», vorrei che Bondi mi spiegasse in che modo c’entrano, qui, i giornalisti.
La notizia andava ignorata perché era Natale?

Ma perché tutti chiedono ai giornalisti di inventare una realtà che non esiste?
Nessuno che si assuma le proprie responsabilità.