universini parallelini/2 (o della lotta di classe)

Di Style Piccoli posso dire veramente poco: più o meno quello che ne ho scritto ieri. Costa 3,50 euro, non è gratuito nemmeno alla sua prima uscita (ieri), e non ho la minima intenzione di acquistarlo.
Posso solo aggiungere – ecco – che la direttrice dice questo: «Abbiamo provato a guardare le cose dalla parte dei bambini».
E commentare – tristemente – che se i bambini che hanno meno di 12 anni hanno già dentro se stessi quest’idea di lusso, di privilegio, di esclusività (etimologicamente dipendente da «esclusione», varrà la pena ricordarlo), di superiorità, di appartenenza all’Olimpo, allora vuol dire che questo Paese è sistemato assai peggio di quanto l’osservazione delle rivoltanti e brutali minutaglie di vita quotidiana può indurci – già dolorosamente – a comprendere.

Un bambino che a dieci anni si sente già esponente della crème, della genia degli oppressori (e che è soddisfatto di questo!) è senza la minima ombra di dubbio uno stronzo di proporzioni spaziali che in poco tempo è pronto a diventare un adulto stronzo di dimensioni cosmiche.
E infinitamente più stronzi sono i genitori che glielo fanno credere, che lo fanno affezionare a quell’idea.

Certo: ognuno vive la sua condizione, e dunque sarebbe quasi ancora peggio se il rampollo di una di queste famiglie piene di soldi quanto di spocchia pretendesse di attenersi moralisticamente – e magari a giorni alterni – a stili di vita frugali e parsimoniosi da insegnare ai plebei spreconi.

Ma in ogni caso, fare una rivista patinata dedicata a bambini che si chiamano con nomi e cognomi altisonanti, e a tutti i loro miserabili epigoni borghesi che sognano di infilarsi, corpargendosi d’olio, nei buchi che la rete della sedicente nobiltà ha lasciato appositamente sprovvisti di guardiani (se le maglie fossero tutte chiuse e presidiate, come potrebbe – quell’aristocratica progenie – godersi lo spettacolo dei microbi che sudano, e gareggiano, e spendono ciò che non hanno o ciò che hanno rubato, e arrancano per penetrare nel loro universo superiore?), beh, fare una rivista dedicata a bambini di razza superiore a me sembra un insulto violentissimo ai princìpi che mi hanno fatto donna.
Mi voglio rovinare: mi sembra un’offesa intollerabile ai princìpi della Rivoluzione francese.

E siccome ho già scritto un sacco su Style Piccoli, di Style dei grandi mi occuperò in un altro momento.
Per ora, mi godrò il sapore amaro dell’indignazione.
La triste consapevolezza che questo genere di bipedi im-plumi (e «im» chissà quante altre cose) riesce ad affascinare numeri enormi di miei connazionali.

Mi godrò la voglia di affacciarmi alla finestra gridando al megafono (quello delle manifestazioni che non ho mai fatto, essendo stata infante nel 68 e bambina nel 77) un altissimo, liberatorio, sorridente e cubitale vaffanculo.
Senza asterischi.
E con molte «o».
Se trovo qualcuno che mi tiene il megafono in posizione, con le altre due braccia riesco anche a fare il gesto dell’ombrello.

Anzi.
Ho un’idea migliore.
Sprofondo nella mia Frau, accendo un sigarillo, metto i piedini sul mio Shiraz togliendoli dalle ciabattine di cervo, chiedo alla governante di preparare un aperitivo analcolico a suo piacere, mi accoccolo nella mia tutina da casa di cachemire, faccio attizzare il fuoco del camino, tolgo Style Piccoli dal portariviste e leggo – finalmente, oh che bel momento di relax – di quel «nido di 25 metri quadrati con pezzi di design misti a mobili Ikea».
Che gusto.
Che stile.
Che finezza.
«Signorina, per favore risponda al telefono e poi serva pure a tavola. E poi si prenda pure mezza giornata libera».