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quando si dice l’intransigenza
Ieri mattina mio figlio è venuto a poltrire nel lettone.
Di solito, queste gite nel lettone sono per lui l’occasione di fare il grande e discutere di cose di cui in posizione verticale e in piena luce non discuterebbe con uguale naturalezza.
Non so come, siamo finiti a chiacchierare di giornalismo.
(Okay: non mi fa onore; ma ormai è successo e non so cosa farci…)
Comunque.
Tutta presa da quest’aria confidenziale e dal mio ruolo di magistra vitae, gli ho raccontato una storia edificante da piccola fiammiferaia.
Cioè di quando – giovanissima della professione – ho usato le ultime venticinquemila lire che avevo (prendevo un milione e cento e ne pagavo seicentomila di affitto) per mandare un pony express a restituire un orologio a una fonte che me l’aveva regalato per Natale, allegando una letterina in cui su carta intestata del giornale gli dicevo «grazie, ma non posso accettare».
La storia è vera, e la mia fonte si arrabbiò moltissimo.
A margine di questa storiella, stavo dunque spiegando a mio figlio che i giornalisti non possono accettare regali, perché se lo facessero metterebbero a rischio la loro indipendenza di giudizio e la loro credibilità.
Lui m’ha detto «beh, ma perché non puoi prendere il regalo e scrivere lo stesso sul giornale quello che vuoi?».
«Perchè il problema», gli ho risposto, sempre più tronfia in questo mio ruolo gratificante di faro morale, «non è solo essere ma anche apparire indipendenti agli occhi dei lettori. Le persone che ti leggono devono potersi sempre fidare di te, e tu hai il dovere di non dar loro il modo di dubitare di te».
«Ma la gente che ti legge non sa che tu hai preso un regalo!», mi ha detto lui pensando – ci scommetto – che sua madre era una vera palla (non ha torto, tra l’altro).
«Ma potrebbe saperlo», gli ho detto; «e io mi devo comportare come se loro potessero sempre saperlo».
Silenzio.
Ore dopo – siccome mi aveva fatto promettere che, quando fosse guarito dalla febbre della settimana scorsa, l’avrei portato a mangiare dove voleva lui – siamo andati a pranzo da McDonald’s.
Uscendo, siamo passati davanti a una gelateria e abbiamo preso una vaschetta di gelato da portare a casa.
Siccome ieri era l’ultimo giorno di apertura stagionale del negozio, i ragazzi – che regalavano da ore palline di gelato a destra e a manca per svuotare il banco frigo – ci hanno dato gratuitamente un’altra vaschetta di gelato da portare a casa.
Noi abbiamo ringraziato per questa cosa carina e siamo usciti.
Appena fuori, mio figlio mi ha guardato con aria di rimprovero: «Mamma, ti devo dire una cosa».
Mi sono fermata.
«Tu sei giornalista», mi ha detto con serietà. «Non dovevi accettare la vaschetta in regalo».
Ps: l’immagine viene da qui.
L’obiezione di tuo figlio è ragionevole, ma solo perchè hai omesso di dirgli che i regali che non si possono accettare sono quelli che si ricevono proprio pechè giornalisti. Il gelato l’hanno regalato a voi come a chiunque altro. Non c’è uno scambio, neanche implicito.
Questa del regalo gratuito è una cosa talmente rara che forse anche in questo caso si suppone uno scambio, ma è semplicemente quello di voi clienti che sarete ben disposti a tornare nella prossima stagione (ammesso e non concesso che il loro gelato sia buono).
Questa storia mi conferma che i bambini comprendono fortemente il senso etico. Quale enorme responsabilità abbiamo noi adulti quando glielo demoliamo.
In realtà gliel’ho spiegato proprio uscendo dalla gelateria, dopo il suo rimprovero.
Tra l’altro è stato molto carino a non dire niente finché eravamo a portata d’orecchio dei gestori del negozio…
tuo figlio è un mito!!!