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c’era una volta il giornalismo: storia di un direttore
Ho letto qui delle dimissioni del direttore del quotidiano La Nazione di Firenze.
Le dimissioni sono arrivate per alcune intercettazioni, tra cui questa, in cui Carrassi annuncia a Fausto Rapisarda che farà l’articolo di fondo esplicitamente richiesto da Ligresti, chiede le vacanze gratis in Sardegna e ne ottiene promessa, discute di due appartamenti uno dei quali gli piacerebbe poter prendere in affitto a buon prezzo, si gloria dei pezzi «allineati e coperti» che i suoi redattori hanno scritto sull’affare di cui si tratta, si vanta di essere riuscito a mettere in pagina la fotina di Ligresti.
Io ho qualche domanda.
Ma veramente c’è qualcuno che pensa che Carrassi sia l’unico direttore di quotidiano italiano che – se le intercettazioni dicono il vero – si dedica a pratiche del tutto incompatibili col suo ruolo?
O meglio: c’è veramente qualcuno che pensa che il ruolo di un direttore non possa comprendere anche pratiche come queste?
O che pensa che i direttori agiscano in proprio (naturalmente, mica tutti facendo le cose che sembra abbia fatto Carrassi) e non anche in rappresentanza degli interessi delle proprietà dei giornali che li hanno installati al comando?
Veramente c’è qualcuno che finge di non sapere che i direttori possono avere (ovviamente non necessariamente hanno) tutta la convenienza di «vendere» i loro redattori, ormai servili fino al patetico, vantandosi della loro obbedienza ai dettami del «padrone» esterno al quale sanno di dover rendere conto?
Non è per il dubbio piacere di fare sfoggio di cinismo; non è per fare qualunquismo; non è per il gusto di sostenere che sono tutti uguali, se adesso dico che lo stato del giornalismo è veramente sconsolante.
A me piacerebbe che ci si rendesse conto che situazioni come questa uccidono le motivazioni e l’entusiasmo di chi s’è accostato alla professione con ragioni solide e profonde.
A me piacerebbe che si sapesse che le prime vittime di queste situazioni – e lo dico senza minimamente poter né voler entrare nella vicenda fiorentina – sono per forza di cose i giornalisti «normali», quelli che sono messi in condizione di non poter lavorare per lasciar spazio a colleghi servi di cui la direzione possa vantarsi con i suoi padroni, dentro e fuori.
Se devo immaginare una delle prime conseguenze di questi fatti, a me viene automatico pensare che in queste situazioni sia ovvio che questi giornalisti «normali» vengano esclusi dal ciclo produttivo, per così dire, semplicemente in forza del marchio di «estremisti» col quale possono, per esempio, venir bollati.
Con un «estremista» nessun collega, nessun superiore, nessun sottoposto vorrà avere a che fare, perché porta guai, mette in difficoltà, rende più difficile rispondere a quei poteri esterni – naturalmente «moderati» – a cui i direttori hanno deciso di rispondere, immagino col consenso della proprietà.
Ah.
Sulla Nazione online di oggi trovo che Carrassi risponde con questa frase alla lettera di una lettrice scettica sulla condanna per omicidio volontario del «pirata della strada»: «Il tribunale di Roma ha emesso una sentenza proporzionata alla gravità del fatto contestando l’omicidio volontario».
Beh.
Io vorrei dire a Carrassi che il problema non è solo proporzionare la pena al fatto, ma anche rubricare correttamente il reato.
E che dunque una buona strada per aumentare le pene per l’omicidio colposo potrebbe essere – per esempio – aumentare le pene per l’omicidio colposo.
Semplicemente.
Seguendo la sua logica, invece, uno che ammazza un cane in modo particolarmente cruento e barbaro potrebbe essere condannato per strage, e poco importa che non sia una strage ciò che ha commesso, perché l’importante è l’esemplarità draconiana della pena.
Non gli auguro di trovare sulla sua strada, adesso, un giudice che interpreti il diritto nel modo che a lui (a lui Carrassi) sembra piacere: cioè in modo sostanzialista, un tanto al chilo e chi s’è visto s’è visto.
Sennò, per aver «venduto» i suoi redattori – se l’intercettazione dice il vero, ovviamente – potrebbe trovarsi condannato per ricettazione; per aver scritto fondi e articoli su commissione di poteri esterni da compiacere potrebbe trovarsi condannato per favoreggiamento; per aver chiesto vacanze gratis potrebbe trovarsi condannato per appropriazione indebita; per aver chiesto affitti bassi, potrebbe trovarsi condannato per estorsione; per aver fatto accordi con altre persone al fine di ottenere vantaggi impropri, trovarsi condannato per associazione per delinquere.
E per aver stroncato le motivazioni dei sottoposti, per omicidio volontario.
Poi, non potrebbe neanche lamentarsi: «Non prendiamocela con la giustizia, che fa il suo dovere, ma con chi travolge e ammazza vite innocenti» è una frase che ha scritto lui.
Non io.
P.s. La foto arriva da qui.
Aggiornamento serale.
«Non ho fatto nulla di cui pentirmi, comunico ai colleghi del quotidiano che mi ha aggredito che rifarei domani tutto ciò che ho fatto sino ad ora». Lo afferma il direttore del quotidiano «La Nazione» Francesco Carrassi, che oggi ha dato le dimissioni dopo la pubblicazione sulle pagine fiorentine di Repubblica di intercettazioni telefoniche tra lui e Fausto Rapisarda, uno stretto collaboratore di
Salvatore Ligresti, indagato – insieme allo stesso Ligresti, ad alcuni professionisti e a due assessori comunali di Firenze – nell’inchiesta sull’area Fondiaria-Sai di Castello alla periferia nord del capoluogo toscano. «Ho ritenuto di rimettere il mandato di direttore responsabile del quotidiano La Nazione – dice Carrassi – nelle mani dell’editore Andrea Riffeser Monti per un atto di riguardo nei confronti dell’editore stesso, del corpo redazionale e dei lettori del quotidiano che ho l’onore di dirigere». «Mi è stata chiara sin dall’inizio la assoluta inconsistenza delle notizie relative alla mia persona diffuse dal giornale concorrente de La Nazione nella città di Firenze. Ho trovato conferma dalle notizie che ho acquisito in queste ore, che nella migliore delle ipotesi quanto diffuso dal quotidiano in questione è puro gossip, anche mal costruito», aggiunge Carrassi. «È noto che in questo Paese il sistema delle intercettazioni è tale per cui, passando di mano in mano, acquisiscono significati diversi. Estrapolare delle frasi da una conversazione, fare il copia-incolla, trasformare delle battute in teoremi di malaffare, è esercizio noto al peggior giornalismo italiano. A tutela della onorabilità mia, dei miei cari e del giornale che dirigo ho dato mandato al mio legale Avv. Giuseppe Benedetto del Foro di Roma di assistermi in ogni sede giudiziaria. Sia chiaro a tutti: nella qualità di persona offesa – conclude Carrassi – è non certo in quella di indagato e/o imputato, qualità che presto altri assumeranno in questa vicenda».
C’è in giro una strana aria di perbenismo. Fa scandalo chi denuncia il male, chi lo intercetta, chi lo persegue per dovere, chi lo rende pubblico. Più di chi lo compie.
Non mi ricordo mai che fine fa, il bambino che nella favola gridava la nudità del Re…
Questa storia – se le intercettazioni dicono il vero – è la più squallida vicenda di cui mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi.
Sarebbe una grandissima occasione per parlare – finalmente – di ciò che realmente fanno i giornali (mica tutti).
E invece, il tipo di reazione che ha avuto Carrassi non è stata «io non ho fatto niente», ma «non ho nulla di cui pentirmi».
Eppure, se veramente le intercettazioni dicono il vero, qualcosa di cui pentirsi ci sarebbe, eccome.
Anche a voler volare proprio bassi bassi bassi, c’è che s’è venduto i suoi.
E questo a me sembra qualcosa di cui pentirsi amarissimamente, anche senza contare il resto!
Come si può – mi domando – agire come se si comandasse un manipolo di soldatini con i quali prendere possesso del territorio?
Se le cose sono andate così, a me pare che la vicenda sia di una gravità sconvolgente, inaccettabile.
E il sito della Nazione fischietta e fa finta di niente.
Nemmeno uno straccio di comunicato del cdr (se ho visto bene).
Va bene: il sito e il giornale hanno due direttori diversi.
Ma cazzo: se questa di Carrassi non è una cosa sulla quale il cdr ha COMUNQUE da dire due parole, cosa occorre? Un arresto per pedofilia e terrorismo islamico (fo per dire, ovvio) dell’intera redazione?
Ecco, che fine fa, il bambino della favola: viene scambiato per un soldatino della Jihad rapito dai ROM e costretto a mendicare al semaforo sotto casa di un assessore leghista amico dell’importante giornale locale… ;o)
Il problema, hai ragione tu, va oltre lo schifo umano di un tale modo di comportarsi tra potenti; il vero nocciolo della questione è che un direttore di giornale, oggi, è un padroncino come gli altri, né più né meno. E i poveri giornalisti scrivono sui loro fogli, spesso fascistoidi e razzisti, invece che raccogliere pomodori per 2 euri al giorno, o fare bungyjumping dai loro cantieri senza elastico, o fargli pompini lungo i viali col timore che una volta finito li spranghino i loro figli, di turno alla ronda padana…
Punta sul vivo, Lerrico, parlo per me.
Non vado a raccogliere i pomodori, né a fare bungee-jumping senza elastico da un cantiere, né a far pompini lungo i viali perché ho scelto un altro lavoro, che cerco di fare entro i limiti che l’esame di realtà impone.
Ho imparato che quando una battaglia non può esseer vinta è meglio non combatterla.
Ne guadagna la salute, e ne guadagna la qualità della vita.
L’obiezione di coscienza può non essere qualcosa di cui andar fieri, ma è senz’altro – ripeto – una soluzione che favorisce la salute.
Ma nemmeno l’obiezione di coscienza, nemmeno la presa d’atto dello stato di disperante minoranza in cui ci si trova, nemmeno la frustrazione, la rabbia, il dolore, l’ansia, la tristezza che deriva dalla consapevolezza che i lettori dei giornali vengono spesso dolosamente imbrogliati e la democrazia ne risente pesantemente, beh, nemmeno tutto questo può farmi agire – nel mio lavoro – in modo deontologicamente e professionalmente scorretto.
Posso non credere più nel lavoro che faccio, e posso anche considerarlo addirittura un lavoro dannoso (la mia dialettica interiore è molto vivace, su questi temi, e sposta il sempre provvisorio punto di equilibrio un po’ qui e un po’ là), ma non sono autorizzata MAI a dimenticare qual è il lavoro che faccio, e PERCHE’ lo faccio.
Okay, ho fatto un pippone.
Sorry.
Sono d’accordo con te: anche se tutto intorno a noi la foresta non c’è più, c’è solo una sconfinata palude che va da Che Guevara a Madre Teresa (come cantava l’ideologo del PD qualche CD fa), a noi ci resta ancora qualche tanica di napalm e nessuno, dico nessuno, ce lo strapperà dalle mani! 😉
Forza, che là fuori c’è ancora qualcuno per cui vale la pena raccontare qualche verità.
Io tra le mani ho qualche tanica di acqua minerale, più che altro…
😉
Là fuori che ancora qualcuno che vale la pena far ruttare, allora!
Non so.
Scherzi a parte: non sono più sicura che ci sia qualcuno a cui interessa sapere non dico la verità (che come concetto mi sembra impegnativo), ma almeno le notizie.
Non sono sicura che noi giornalisti siamo in grado di dar voce a chi non l’ha, se la priorità è rimanere noi stessi in piedi, evitare di rovinare a terra e di prendere i calci degli altri.
Ma dev’essere che sono in fase professionalmente nichilista…
Poi passa.
Ma è La Nazione, su! …nelle pagine della cronaca locale del mio comunello appaiono perfino minuziose descrizioni di incidenti automobilistici (che coinvolgono solo turisti stranieri, ovviamente) mai avvenuti!
Si narra che una delle principali cause della sua diffusione sia la brama dei miei concittadini borghesi di leggere i necrologi per sapere chi sia morto.
Io, comunque, immagino la povera disgraziata (che conosco) a cui hanno affidato il compito di seguire la vicenda politica e che ci si sta pure impegnandosi (si ripromette di regalare lei un interessante giallo ambientato in redazione).