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se questo è il buon senso, io voglio il senso cattivo
Ho letto sulle agenzie che due bambini, uno di dieci anni e l’altro di un mese, sono stati trovati a Roma in un cassonetto che sembrerebbe essere la loro casa.
L’assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, che si chiama Sveva Belviso, commenta così: «Attendiamo gli sviluppi delle indagini; certo è che lasciare in un cassonetto due bimbi, uno dei quali addirittura di un mese, è un gesto di grande irresponsabilità».
Ma come cazzo* fa, questa donna, a ridurre una simile tragedia a una questione di irresponsabilità?
Questa donna dove pensa che vada a vivere la gente che è senza casa? All’Hilton?
Irresponsabilità di chi?
Ma di cosa sta parlando?
Si rende conto che farsi carico di – e magari pure risolvere – questi problemi è una sua specifica e fottutissima* responsabilità di assessore alle politiche sociali?
Capisce che non può permettersi il lusso di inquadrare la questione come una faccenda della quale si possa incolpare con tutta quella leggerezza moralistica l’irresponsabilità di una coppia sconsiderata di genitori, ancorché stranieri?
*Chiedo scusa: le parolacce dovevano assolutamente essere intere.
la notizia si commenta da sé. ed ancor più… “autocommentante” (scusa il neologismo) è la dichiarazione dell’assessore. un’ulteriore conferma della deriva di cui abbiamo intrapreso la direzione.
Credo che tu sia un po’ ottimista.
Sai qual è, secondo me, uno dei problemi più seri?
Proprio il fatto che non c’è più niente che si commenti da sé.
Tutto è ammesso, ammissibile, accettato.
Non c’è più niente che procuri una censura sociale.
No, mi correggo: è socialmente censurato solo ciò che tende a richiamarsi ai diritti che non si acquistano col denaro, per cciò stesso perdendo la loro natura di diritti.
È diventato socialmente inaccettabile, per esempio, parlare di diritti dei lavoratori, di sicurezza sul lavoro, di attività sindacale, di diritto di sciopero, di diritto al dissenso, di rappresentanza…
E quanto più una cosa viene detta con aria strafottente, quanto più è irrispettosa delle condizioni e delle difficoltà altrui, incurante del fatto che interi pezzi di mondo sono esclusi dal privilegio, beh, tanto più viene presa in considerazione, perché ha il sapore di una specie di verità liberatoria.
Prova a pensare: chi mai avrebbe potuto immaginare che si sarebbe potuto impunemente dire pubblicamente che i romeni sono tutti delinquenti?
Chi avrebbe potuto immaginare che sul primo quotidiano d’Italia un commentatore potesse scrivere che i napoletani credono di avere una specie di diritto divino ad avere la casa, senza che nessuno gli dicesse «ehi, ma ti rendi conto della semplificazione violenta, brutale, volgare e irrispettosa che stai facendo?».
Chi mai avrebbe potuto immaginare che un ministro della repubblica potesse impunemente dire che i ragazzi del nord vengono «massacrati» dagli insegnanti del sud?
Chi mai avrebbe potuto immaginare che un altro ministro della Repubblica si permettesse di dire che gli insegnanti del sud sono meno preparati di quelli del nord senza che nessuno dicesse «ba»?
No.
Non c’è più NIENTE che si commenti da sé.
Perché perfino quando un vecchio senza collo, più largo che alto e coi capelli tinti si autoaccredita come un efficiente amatore nessuno inorridisce.
Eppure, il solo pensiero è, per me, stomachevole.
Sì sono decisamente irresponsabili coloro che amministrano l’Italia e Roma, una città in cui i bimbi non hanno alternative ai cassonetti come casa.
E’ decisamente irresponsabile che coloro che hanno la responsabilità del governo piuttosto che proporre ed attuare soluzioni ai problemi li denuncino e cerchino altrove i colpevoli dirottando l’odio della povera gente verso la gente disperata e poverissima.
Sono completamente d’accordo.
Tra l’altro, io vorrei sapere come si pensa di risolvere la questione portando quei due bambini in un istituto e allontanandoli dai genitori, perché è così che andràà a finire.
Invece di mettere i genitori nella condizione di non dover cercare per i loro figli un rifugio tanto provvisorio e indecente come un cassonetto, la soluzione sarà sottrarre i bambini ai loro affetti; a un padre e a una madre che probabilmente non avevano – o non riuscivano a vedere, ma è esattamente lo stesso – un’alternativa per se stessi e per i loro figli.
Perché – io mi domando – si devono massacrare così le persone?
Perché le loro storie e il loro dolore devono essere calpestate, rese indegne di ascolto e di accoglienza?
Perché due bambini devono vivere tutto questo?
Perché devono essere messi in conflitto con i loro genitori?
Sulle spalle di chi potrà piangere quel bambino di dieci anni?
Di un’operatrice dei servizi sociali?
Mi viene in mente «Ladybird Ladybird» di Ken Loach, e mi monta un’indignazione senza fine per queste vite lasciate indietro da tutti, lasciate a marcire in discariche.
Mi piace come s’indigna la Sgaggio, sembra Zeus, fulmini e saette o qualcosa del genere.
Condivido specialmente la lunga tirata contro i ministri che ci ritroviamo. Un po’ meno quella del commento delle 11 e 51. A me viene in mente De Andrè e non Loach, in particolare “Il testamento di Tito” allorché canta:
…
Onora il padre. Onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
…
Se io fossi uno di quei bambini non ne vorrei sapere di tornare con chi mi ha gettato nell’immondizia, anzichenò. E non si può escludere in ogni modo e caso che essi trovino un buon assistente sociale o un buon educatore in un istituto. Può darsi che non tutti gli istituti siano condotti da direttori alla Dickens ecc. ecc.
Quanto all’assessore Sveva Belviso… beh’ che cosa ti aspettavi da una che si chiama “Sveva Belviso”? Gli antichi direbbero omen nomen. Si scherza veh
Non posso escludere che i bambini non vogliano tornare con chi li ha fatti vivere in un cassonetto.
Né che un’assistente sociale sia individualmente ammodo (perché quanto al loro ruolo sociale ho i miei dubbi, nel senso che per me sono funzionali all’esclusione dello sfigato più che all’inclusione di chicchessia; ma non pretendo di aver ragione).
So per cento che i direttori degli istituti non sono tutti alla Dickens, ma so anche che questo non vuol dire niente, perché – anche qui – una cosa è la loro fibra morale individuale, e altra cosa il loro compito socialmente determinato.
Fissati però questi punti e dismessi gli abiti virili di Zeus (figata!!!) io so di non potere escludere nemmeno la prima cosa che mi è venuta in mente: e cioè che i genitori si siano sentiti costretti a portare i bimbi a vivere in un cassonetto insieme a loro perché quello era l’unico posto possibile.
E siccome ho tentato di assumere il punto di vista di un’assessore alle politiche sociali – mal me ne incolga, ovviamente! Non ne sono affatto all’altezza, e lo dico senza civetteria – beh, mi veniva da pensare che il primo problema di un’assessore alle politiche sociali fosse immaginare politiche sociali che, includendo, potessero se non altro limitare il numero delle persone e delle personcine che dormono in un cassonetto, invece di gettare subito la croce addosso ai genitori.
Sveva Belviso dice che «attende il risultato delle indagini», cacchio: che idea di mondo ha? E un problema di ordine pubblico anche la nanna di due bambini in un cassonetto?
Possibile che lei, in qualità di assessore, non si senta minimamente coinvolta (interpellata, dicono quelli veramente di sinistra) dal punto di vista non voglio dire morale ma almeno tecnico, spudoratamente tecnico?
Però capisco il tuo punto, Carlo.
Tempo fa nella bella Toscana furono arrestati (chissà se per il pericolo di fuga o per l’inquniamento delle prove) dei genitori i cui figli erano morti nel corso di un incendio della roulotte in cui vivevano. Credo che il motivo formale fosse l’abbandono di minore o qualcosa del genere a cui furono associate le conseguenze. Per fortuna loro il dolore coprì la vicissitudine giudiziaria assai grottesca.
Qualche tempo prima (sempre in Toscana mi pare, comunque Toscani erano i protagonisti), invece, un padre investì, in manovra, con un camper il proprio figlio. Anche in questo caso il bimbo morì. Nessuno pensò bene (e giustamente) di arrestarlo ed anzi tutta la buona società rappresentò (giustamente) le proprie condoglianze.
Nel primo caso per il mondo prevalse la negligenza (ma si potrebbe leggere come un incidente), nel secondo l’incidente (ma si potrebbe assurdamente leggere anche come negligenza).
Direi che la differenza non consisteva nel camper e nella ruolotte ma nell’essere molto poveri o molto ricchi, rom o gagè… Quel che è umano, ossia il dolore per la perdita dei figli, fu certo comune, Quel che è disumano, il trattamento, fu invece assai diverso.
Comunque la cosa orripilante e dolorosa è l’uso politico di queste vicende. Un po’ come quando qualche politico tuona contro la pedofilia. Ma siamo matti? Agisca in silenzio che siamo tutti d’accordo e non perda tempo nella propaganda emotiva.
A volte mi dico che dovrei essere così coraggiosa da riuscire una buona volta a rassegnarmi al fatto che il mondo va così e non c’è niente da fare; ma poi ci ricasco puntualmente e mi infurio.
Vorrei un presidio qualunque a tutela delle coronarie e della bilirubina; un’impermeabilizzazione politico-emotiva di qualche tipo…
E invece eccomi qua.