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la triste moda dell’antimeridionalismo
Mi rendo conto che il livello di analisi può apparire semplificato. Ma a parte il fatto che al momento non riesco ad andare più giù, resta che tutto sommato mi va anche bene partire da un’intuizione e seguirne il semplice filo.
La mia intuizione è questa: che uno dei sottofiloni che più robusti percorrono i deliri del discorso politico di questi mesi è – non ho alcun dubbio – l’antimeridionalismo.
Secco, acritico, irrobustito da qualche dato che – presentato come valore incontestabile e sacrale – a nessuno viene voglia di verificare. Tra l’altro, quand’anche fosse sconfessato non sposterebbe nemmeno di un millimetro il senso della cosa.
Berlusconi ha detto stasera che s’è convinto della necessità di ciò che viene chiamato federalismo fiscale perché le regioni del sud spendevano il 43 per cento in più delle regioni del nord. Quindi – sostiene di averne dedotto – occorre responsabilizzare le regioni.
La Gelmini aveva detto a suo tempo che gli insegnanti meridionali non avevano il livello di preparazione dei colleghi del nord (aprendo peraltro una veloce e curiosa garetta fra chi riusciva a citare, in lanosi editorialini alla libro Cuore, più meridionali bravi o più settentrionali bravi. Come se questa finta verifica potesse avere un senso qualunque), e che gli studenti del sud erano ugualmente meno bravi dei compagni (chiedo scusa: volevo dire camerati) del nord.
Bossi aveva detto che i docenti del sud massacrano i ragazzi del nord.
Quando il 31 agosto si diffusero le notizie delle asserite devastazioni dei tifosi napoletani ai treni, il volume di fuoco ideologico mi sembrò subito francamente spropositato. Non è per sminuire le colpe dei tifosi napoletani (figuriamoci: non mi passa neanche per la testa), ma una simile quantità di maschie reazioni istituzionali (segnalo solo il pacato giudizio di Abete: «Branco di delinquenti da debellare») non ci fu neanche quando venne ucciso Gabriele Sandri. E stiamo parlando della vita di un ragazzo, non di treni devastati.
La cosa mi parve strana.
Riflettei sull’enorme quantità di violenze attribuite a molte altre tifoserie, tra le quali – vivendo dove vivo – non potevo non annoverare quelle del Verona.
Mi veniva in mente che – vere o non che fossero le accuse (ma il fantoccio nero impiccato non era una bufala) – nei casi in cui c’erano stati solo disordini e non omicidi, c’era sempre stata, nelle città, un’alzata di scudi a difesa delle tifoserie.
Quel 31 agosto, tutti zitti.
L’altro giorno leggo questo.
«Resta il mistero intanto sul treno fantasma dei napoletani a Roma, il 31 agosto, prima giornata di campionato. Un servizio di Rai News 24 ha parlato addirittura di “bufala campana”. La procura di Napoli, con il pm Ardituro, che sinora non ha preso alcun provvedimento nei confronti dei tifosi, smentirebbe addirittura Trenitalia. Per la procura ci sarebbero stati danni e non danneggiamenti: e non certo come sostengono i dirigenti delle Ferrovie che parlano di 500.000 euro. Sembra che siano state danneggiate solo 80 tendine, un gabinetto, un paio di poltrone e rotti due vetri. Ma da parte di chi? Non si sa. Un giornalista tedesco che viaggiava su quel treno ha raccontato la sua versione: nessun danneggiamento. Un rappresentante del sindacato di polizia, Silp Cgil di Napoli, smentisce che ci siano stati gravi reati anche alla stazione. Il mistero è sempre più fitto: il ministro Maroni aveva parlato addirittura di associazione per delinquere, di 800 pregiudicati su quel treno, eccetera».
Forse dovrei anche dire che a me del calcio non interessa assolutamente niente, e che non sto minimamente sostenendo che le distruzioni non ci siano state.
Solo che se anche ci fossero effettivamente state, questo non toglie che a me sembra che la notizia sia stata trattata facendo ampio uso dell’armamentario ideologico e iconografico dell’antimeridionalismo.
Le curve del San Paolo, tra l’altro, sono state chiuse per i disordini allo stadio di Roma, e non per le asserite devastazioni dei treni.
Prima dicevo di Berlusconi (che tra l’altro ha dato poco fa nuova prova di quanto gli piaccia fare il virilone di simpatie fasciste dicendo che dell’invito di Veltroni a discutere della crisi dei mutui lui se ne frega; proprio con le parole di Mussolini: e già immagino il risveglio dei neuroni in schiere adoranti di fan) e del federalismo.
I bambini cattivi delle regioni del sud – dice – hanno speso troppo, capperi.
Fermarli era un dovere: lo capiamo tutti, no?
Il nord è l’educatore, l’ostetrica dei comportamenti virtuosi.
Il nordico Berlusconi ha anche ripulito Napoli dalla spazzatura, amici. L’ha fatta diventare come Zurigo.
Il nord – non c’è dubbio – sta civilizzando la Campania, e dovremmo tutti essere grati a Calderoli. Altro che fargli le pulci.
E la Gelmini? La Gelmini che andando a fare l’esame a Reggio Calabria per passare in fretta (memorabile la risposta che le ha dato Bersani: ma gli altri che han fatto civilmente l’esame a Brescia erano tutti ragazzotti che non avevano fretta di lavorare?) ha trattato il sud come spesso accade ai padroncini del nord – cioè come la discarica in cui esportare immondizia fisica o metafisica e mescolare corruzione – non ha nemmeno lontanamente citato il fatto che il celeberrismo Osce Pisa, il test per la valutazione degli studenti conteneva, per esempio, alcuni errori.
Torniamo al solito problema: chi valuta i valutatori? E quali sono i criteri di valutazione?
Non importa.
I valutatori hanno ragione per definizione, purché valutino male i meridionali.
Provate anche voi.
Provate a leggere le notizie che si trovano sui giornali o su Internet cercando la filigrana dell’antimeridionalismo.
La troverete, lo garantisco.
E ripeto: l’ipotetica critica che al sud la spazzatura c’era (e forse c’è, chissà) davvero, solo per fare un esempio, non sposta di un millimetro la questione.
Perché sono i toni ciò che fa la differenza.
La capacità di un contenuto di farsi vox populi indipendentemente da qualunque criterio anche vagamente scientifico di verifica.
La capacità di trasformare le proprie comodità ideologiche in parole d’ordine di successo.
In fondo, antimeridionalismo e razzismo sono parenti stretti.
Analisi interessante. Anche se, dirò la verità, a vedere Schifani o Quagliarello o Italo Bocchino o altri del genere un po’ antimeridionalista lo divento anch’io. Certo, dirai, guardati Tosi o Galan e rivaluta il NordEst, se sei capace…
Per ammenda, vado a rileggermi un po’ di Gramsci e Ernesto De Martino.
Secondo me il quid non sta nel decidere collettivamente se siano meglio le cose e le persone al nord o al sud.
Ognuno, secondo le proprie esperienze, decide chi gli piace di più, se pensa che il problema sia questo.
Il fatto, per me, è che questa garetta è diventata discorso pubblico, e il sud non riesce nemmeno a profferire parola.
Prova apensare: è come con la sinistra (absit iniuria verbis).
È stata sopraffatta da talmente tanti contenuti di destra da pensare che per «vincere» doveva fare la destra anche lei.
E allora vai con le ordinanze di Domenici, col federalismo sostenuto da Cacciari…
Quando le parole diventano parole d’ordine nessuno ha più l’onere di spiegarne il senso (valga per tutti l’esempio della parola «federalismo»), e chi tenta di introdurre parole diverse non è neanche ammesso al discorso pubblico.
Trovi forse qualcuno, adesso – sempre per proseguire sul «federalismo» – che difende lo Stato, lo statalismo?
Non sto parlando dei superliberisti che adesso dicono «beh, salvateci il culo, ma poi torniamo al mercato», ovviamente.
La stessa cosa sta succedendo coi meridionali.
Quando Berlusconi dice «abbiamo riportato Napoli in Europa; prima era una città africana», lo dice nella tragica assenza di qualunque reazione (napoletana, europea o africana!).
Il che vuol dire che l’idea che Napoli – e la Campania, chissà perché da sempre considerata la quintessenza del Male Meridionale – sia una forma sub-civile è GIà DEFINITIVAMENTE STATA ACQUISITA AL PATRIMONIO DEL SENSO COMUNE.
E scusate le maiuscole.
tutto vero, per carità, ma è vero anche il contrario: se un pugile campano vince la medaglia d’argento alle olimpiadi si esalta giustamente napoli e chi è riuscito ad emergere da una situazione difficile, se tre ciclisti veneti arrivano tra i primi 4 del mondo in un mondiale disputato in Italia si sbeffeggia il Veneto perché si vanta dei suoi corregionali. Il problema di fondo è che la lente attraverso si guarda la realtà è talmente deformata da decenni di malgoverno che ormai qualsiasi posizione viene strumentalizzata da una parte o dall’altra. E’ un po’ come vedere Papa Ratzinger che dice che i soldi non sono niente e poi vedere gli spot della Chiesa Cattolica sull’8per mille…
No, Giacomo.
Il contrario non è vero.
La realtà si guarda non solo attraverso la lente deformante di decenni di malgoberno; si guarda anche attraverso la lente deformante dei pregiudizi collettivi che acquisiscono cittadinanza perché qualcuno comincia a dirli ad alta voce in pubblico, e si diffondono con violenza maggiore dei virus.
E non è neanche la stessa cosa che sentire il papa che dice che i soldi non contano e poi vedere le campagne per l’otto per mille.
No.
Il contrario non è affatto la stessa cosa.
In che senso non è vero il contrario? Spiegati meglio perché non ho proprio capito. Non esistono forse pregiudizi collettivi su tutte le regioni d’Italia? Non è forse vero che a seconda dei tempi, della cultura e anche delle mode alcuni pregiudizi collettivi assumono più forza di altri? Tu mi parli di antimeridionalismo: ma ci si è mai fermati a ragionare sul perché si è arrivati a questa situazione? Ti posso assicurare che esiste un “antisetterntrionalismo” palese, soltanto che a seconda dei punti di vista l’uno è più giustificato dell’altro o, se meglio credi, l’uno è più politically correct dell’altro. Entrambe le posizioni sono chiaramente l’estremizzazione e la banalizzazione di problemi reali, ma sottovalutare i problemi reali che stanno alla base del tutto è un rischio gravissimo, perché poi a livello culturale si finisce col non rendersi conto della realtà. Non credo che possiamo più permetterci il lusso di dare per scontato alcunché.
E’ come il discorso del “negro” picchiato dai vigili perché il figlio non aveva la cintura (lo so, commento qui ma dovrei commentare sull’altro post). Chi ha assistito alla scena racconta la cosa in maniera radicalmente diversa da come è riportata dai giornali. E mi dispiace dirlo, perché credo fortemente che le nostre forze dell’ordine lascino moltissimo a desiderare (per utilizzare un eufemismo), come sono straconvinto che in Italia non ci si sia resi conto di cos’è il razzismo quotidiano, soprattutto a livello istituzionale. Il fatto è che siamo passati dalle posizioni francamente ridicole degli esponenti della maggioranza tipo “nel dubbio io sto con la polizia” al loro opposto, senza preoccuparci prima di verificare in maniera adeguata le fonti e i fatti. E in tutto questo una gran parte di rssponsabilità ce l’hanno sicuramente i giornali (che ormai ho imparato a considerare come enti autonomi e indipendenti dai giornalisti, dato che sono i giornali a fare i giornalisti e non viceversa…).
Non è vero il contrario nel senso che non esiste alcun pregiudizio antisettentrionale palese e dichiarato da uomini o donne delle istituzioni.
Quanto al resto, il problema non è – per me – stabilire chi sia meglio fra i meridionali e i settentrionali: ciascuno si tenga il proprio libero giudizio, ma nessuno pretenda di farlo diventare «politico».
Sul «negro», io non abito a Milano e dunque non ho interpellato nessun testimone.
Su Internet ho trovato solo le versioni contrapposte: l’hanno picchiato/li ha picchiati.
D’accordo sulla necessità di verifica, naturamente.
Ma non accetto – non dico che tu lo stia avanzando – l’argomento del razzismo al contrario, secondo cui i «perseguitati» siamo noi italiani.
Sul razzismo al contrario siamo d’accordo, è una cosa ridicola e ogni volta che la sento mi viene da ridere. Sul pregiudizio antisettentrionale invece non sono d’accordo con te: esiste, in maniera molto più sottile e per questo secondo me molto più pericolosa perché si tratta di un fatto culturale. Ma, ripeto, il punto è che bisogna capire perché certi pregiudizi o certi modi di pensare si formano, se no è un casino.
Io non sono nemmeno entrata nella questione dell’esistenza – che tu asserisci – del pregiudizio antisettentrionale; dunque, non potevo dire che non esiste, perché non he ho parlato.
Ho solo detto che non c’è alcun profilo di antisettentrionalismo istituzionale, che nessun ministro si è espresso in termini antisettentrionali, nessun politico, nessun uomo pubblico.
Tra l’altro, denuncio il mio totale disinteresse alla conoscenza della genesi dei pregiudizi di cui stiamo parlando: per quel che mi riguarda – e mi scuso se sono tranchant – la loro genesi è quella di qualunque altro pregiudizio: desiderio di esclusione di ciò che in qualche misura fa eccezione.
Che i pregiudizi operino nella vita quotidiana è un dato di fatto così evidente che non mi ci dilungherei.
Che nella nostra vita individuale chiunque di noi abbia il diritto di nutrire qualunque pregiudizio mi sembra altrettanto inevitabile.
Che nella vita pubblica e nella politica nessuno abbia il diritto di rendere operanti i pregiudizi, e anzi abbia il dovere corrispettivamente opposto, però, è ugualmente evidente, Giacomo.
Ma il problema è che qui ci sono ministri, ministresse, parlamentari, rappresentanti delle istituzioni di ogni ordine e grado, per così dire, che non temono di parlare in termini spudoratamente antimeridionalisti.
Nessuno di loro dice alcunché di antisettentrionale.
Se a te questa non sembra una differenza essenziale…
Ciao
E a proposito: quando sento la storia del razzismo al contrario a me non viene da ridere.
Mi viene una rabbia enorme.
La rabbia ches empre mi viene quando qualcuno tenta di mistificare i dati di fatto.
In questo caso, poi, in modo anche squadrista.
E infine: non vedo perché l’antisettentrionalismo dovrebbe essere “molto più pericoloso perché è un fatto culturale”.
Ciao!