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il fucsia è il mio colore preferito
C’è qualcosa di sublime, nella leggerezza; nella frivolezza.
C’è il credersi migliori di quel che forse si è, e a forza di dirselo c’è il diventarlo.
C’è il vedersi «ricchi», progettuali, sorridenti e positivi.
C’è il rosa, c’è il fucsia della vita.
E mi sarei ben stufata dei grigi, in effetti.
Tanti, eh. Moltissimi. Una super-gamma di grigi.
Ma rivorrei un po’ di fucsia.
E che diamine.
il mio l’arancione!
Cometa, mi stavo domandando questo (diffido chiunque dall’approfittare sordidamente di questo calo delle difese): ma non è che scrivendo su un blog «mi piace il fucsia» e «no, a me piace l’arancione» ci facciamo – più io che tu, sciaguratamente, visto che l’idea è venuta a me – la figura dei babbei?
Pensa che cosa sarebbe se un casino di gente si mettesse a scrivere qui – lo escludo, d’accordo – che ama l’indaco, oppure il color tortora chiaro chiaro con sfumature grigie, o il blu cobalto.
Tipo, eh…
bhe, che ci sarebbe di strano. Io mi reputo una persona serissima eppure a me piace il blu. Ma si tratta di un blù particolare, irripetibile: il blu della spia degli abbaglianti dell’850. Quello che il mio papà ogni tanto, a mia richiesta, espressamente e soltanto mia, mi faceva vedere accesa.
Un colore a richiesta!
Ah, Il fucsia è il colore preferito di mia figlia (anche se lei da piccola lo chiamaza fuzzia), anche lei donna di carattere anche se solo potenzialmente, per ora. E questo ha di per se la sua importanza.
Ma sapete che questa cosa dei colori alla fine mi sta piacendo?
Il blu della spia degli abbaglianti dell’850 – che mi pare parente, ma potrei sbagliare, del blu elettrico di alcune Fiat, tipo la 128 coupè, quella col didietro all’insù: non potete non ricordarvela – è un colore che mi sembra perfino di ricordare…
C’era un’amica di mia madre, la Sara (che la veniva a prendere tutte le volte che c’era da andare alle riunioni serali dell’Associazione italiana per l’assistenza agli spastici), che aveva una 850 color caffellatte. Potrei dire beige, ma non sarebbe la verità, perché era proprio color caffellatte.
Dirò di più: caffellatte fatto col latte parzialmente scremato, cosa che dà alla soluzione un colore più tendente al grigio che al marrone.
Beh.
Insomma.
Mi pare di ricordare – insieme all’odore della plastica dei sedili con la cucitura tonda e al pomello tondo delle marce – quel blu.
Di che forma era la spia?
E’ bellissimo il ricordo di papà che accendeva i fari abbaglianti a tua richiesta, Andrea.
Su un pretesto così si può costruire una storia imprevedibile: strappacore oppure metropolitana. Quasi me la vedo.
Centro sociale.
Bambino.
Adesso.
Trentacinque anni fa.
Sciarpe.
Pochi soldi.
Freddo.
Stranieri.
Papà.
Morto.
Solitudine.
Rock.
Una rock band da garage.
Sogni un po’ del cazzo.
Una ragazza.
La memoria della 850.
Lo stesso colore di una maglietta di questa ragazza.
Lei non lo sa, però è per colpa di quel colore se quel ragazzo decide di guardarla meglio, dandosi il tempo e la gentilezza di capire che gli piace.
Trentacinque anni dopo.
Un amore lento e struggente.
Però non è più fucsia e non è neanche più blu.
E’ blues, però.
Forse.
Ma una bambina vede una 850 in un disegno fatto dal papà quando era piccolo.
Posteggiata su un vialetto vicino a un albero, in questo disegno.
“Papà, ma pecché quett’albero ha i fiori fuzzia?”.
Come la facciamo andare a finire, eh?
(Galoppa, eh, il delirio!)
Dall’etere una voce. E’ Lui: «Cameriere, un ghiacciolo all’amarena alla signora!»
la spia era rettangolare, mi pare ce ne fossero quattro, tutte nere e buie. Le altre si accendevano di verde o di rosso. Quella era l’unica blu, di un blu strano, di cielo d’estate dopo il tramonto; o ancora meglio del colore del cielo quando ti sta promettendo una limpida alba.
Bella la tua storia, sembra quasi un cortometraggio.
Del tempo ci portiamo dietro strani ritagli, alcune cose che al momneto sembravano insignificanti ce le portiamo dietro senza renderci conto. Poi apriamo un cassetto e salta fuori un frammento che pensavamo perduto.