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il dovere di arricchirsi
Ho captato piuttosto casualmente – dalla trasmissione Annozero in cui si sta parlando dell’Alitalia – una frase pronunciata dal leghista Castelli, secondo cui gli imprenditori hanno «il dovere sociale» di fare profitti.
Ma com’è possibile – come, mi domando – confondere con questa smisurata leggerezza il piano privatistico dei fenomeni e delle relazioni sociali ed economiche con quello istituzionale, «sistemico», politico?
E com’è possibile aver fatto carta straccia della questione nodale della redistribuzione del reddito?
non ho idea di cosa intendesse castelli con “dovere sociale di fare profitti”. detta così non piace nemmeno a me, la riformulerei con “l’imprenditore ha facoltà di fare le sue scelte nelle quali valuta rischi, costi e profitti per poi decidere se vuole rischiare ciò che possiede” (sempre che sia moralmente lecito il principio di “possedere” qualcosa, ma qui ci addentriamo in altri temi un po’ off-topic).
non vedo però cosa centri l’alitalia con il concetto di redistribuzione del reddito. alitalia è un’azienda e fatto salvo l’obbligo di operare tutelando socialmente i suoi lavoratori, per il resto l’obiettivo di un’azienda è quello di fare profitti, altrimenti non si deve più chiamare azienda ma “opera di beneficienza”.
come opera di beneficienza non è nemmeno particolarmente efficace perché per beneficiare i suoi 20 mila lavoratori perde 2 milioni e mezzo di euro al giorno, 100 euro per ogni persona che ci lavora. ci sono modi molto più efficaci di redistribuire il reddito. con la stessa cifra, 100 euro, un orfano viene sfamato, vestito, istruito e curato per sei mesi, in uganda, in breve per sei mesi VIVE.
ora, è peculiare che i sindacati, preposti alla difesa dei diritti dei lavoratori, abbiano fatto fallire una trattativa per difendere il diritto dei piloti a mantenere uno stipendio a quattro zeri e a me secca anche un po’ che ora per otto anni tremila persone avranno il loro stipendio pieno senza dover alzare un alluce, mentre quando è successo a me nessuno mi ha dato un centesimo, perché la mia azienda non si chiamava “alitalia” e non aveva la bandierina italiana sulla coda. sopratutto perché pur lavorando sedici ore al giorno faccio fatica, molta fatica ad arrivare alla fine del mese e il pensiero che parte di ciò che guadagno con molta fatica confluisce in quegli stipendi mentre chi li percepisce avrà a disposizione otto anni per cercarsi con calma – con moltissima calma – un altro lavoro, mi provoca una certa irritazione.
tutta questa vicenda mi provoca una certa irritazione e tornando al tema iniziale posso anche capire che un imprenditore prima di decidere se buttare i suoi soldi in questa voragine abbia una qualche perplessità.
ciao
Il problema sai qual è?
Che se non si condivide l’analisi di base, l’abc, diventa difficile discutere.
Io, per esempio, non credo che il piano Airfrance sia fallito per i sindacati. Tu sì, e ne fai discendere le conseguenze che da quell’opinione fanno discendere osservatori dei quali non condivido niente.
Non ho messo in relazione la redistribuzione del reddito con l’Alitalia. Ho detto che il tema della redistribuzione del reddito è completamente scomparso dal senso politico comune, messo in ombra dal tema della regalia, della concessione di carte per poveri.
Ho detto che l’unica cosa che sembra contare è il profitto, che viene tutelato anche ideologicamente, addirittura come un “dovere”.
Mi stupisco che tu abbia visto nelle mie parole cose che non c’erano.
Mi sembra però una costante delle nostre conversazioni: io dico una cosa, tu sposti il terreno.
Mi dispiace che lavori sedici ore e fai fatica, e lo considero ingiusto.
Ma non vedo cosa c’entri con il mio post.
Ciao
non so, può essere che il piano air france sia fallito per motivi diversi dall’impuntarsi dei sindacati. può darsi che spinetta si sia alzato perché aveva mal di pancia.
in ogni caso sono d’accordo che fra la scandalosa storia fallimentare di alitalia e una questione di giustizia e di equità sociale come il principio della redistribuzione del reddito c’è una distanza planetaria. proprio per questo mi ha innervosito vederli affiancati nello stesso post, come se ci fosse un filo comune. ho sicuramente travisato le tue intenzioni e non ho capito qualcosa me ne dispiace, ma il tema alitalia mi rende furibondo.
ma se in un post scrivi che parlando di alitalia castelli dice che un’azienda deve fare profitti, sorry, ma son d’accordo con lui. e che altro deve fare un’azienda ?
in altre parole: senz’altro manca il confronto e il dibattito sui temi dell’equità sociale, ma una serata in cui si parla di alitalia non mi pare sia la serata giusta.
p.s. un giorno parlerai anche di come i sindacati, da strumento indispensabile di difesa dei diritti dei deboli si sono trasformati in centri di potere a protezione di insopportabili privilegi corporativi ?
(si, è vero, non centra nulla ed è una provocazione, ma lo farai?)
No, non lo farò.
Non mi presto a operazioni che non approvo.
Se durante il periodo dei roghi per stregoneria quanlcuno avesse detto anche per scherzo che la moglie era una strega, la poverina rischiava molto.
Ecco, vedi?
L’antisindacalismo è già sovrarappresentato; io non servo; a reggere i vestiti del sovrano ci sono molte altre persone. Sarei di troppo.
Preferisco pensare a cosa sarebbe successo e a cose succederebbe se i sindacati non ci fossero.
Son tutte cose che non mi piacciono.
Nel sindacalismo io credo.
Credo anche nel parlamentarismo.
Nella rappresentanza (e non nella delega).
Conseguentemente, credo nella proporzionalità della rappresentanza (e dunque non condivido il maggioritario, che comprime attraverso la sovranità della «decisione» la supremazia del «plurale»).
Queste sono cose su cui, perdona, non ho nessuna intenzione di discutere.
Questo blog non è la riproposizione in sedicesimo del mondo esterno.
Voglio che sia un luogo dove ciò che si discute è ciò che interessa a me; non riesco a vederne un senso diverso.
È passato il tempo in cui mi pareva necessario argomentare fino all’esaurimento delle forze per convincere qualcuno della bontà delle mie tesi.
Sono abbastanza grande da accettare il dissenso e le distanze senza preoccuparmi di voler convincere né il distante né il dissenziente.
Dunque, per farla breve: no, non mi renderò strumento dell’antisindacalismo, dell’antiparlamentarismo, dello squadrismo culturale, del mainstream dei neofiti del potere che sentono brividi di piacere nella pancia immaginando «adesso arrivo io e sistemo le cose, dopo anni di schifo comunista» (sì, ho sentito anche questa), «o democristiano, o consociativo, o…».
Quando, fra un po’, qualcuno si dovesse voler domandare – in assenza di occupazioni più gratificanti – «ehi, ma chi c’era, in quella fase?» vedrà che io, Federica Sgaggio, non c’ero.
Non serve a niente e a nessuno, ma serve a me.
A proposito: un ps.
Non è carino ridicolizzare i miei argomenti dicendo che la trattativa con l’Airfrance è fallita perché Spinetta aveva mal di pancia.
Fra il mal di pancia di Spinetta e la responsabilità dei sindacati di cui i fascisti di tutte le epoche si sono sempre riempiti la bocca ci sono molte altre possibilità intermedie. L’Airfrance avrebbe ridimensionato la Malpensa, Piero: te lo ricordi?
Ti ricordi chi è che ha costruito la sua campagna elettorale sull’argomento dell’italianità della compagnia?
Hai presente chi ha regalato la parte sana dell’Alitalia a diciotto amichetti?
Ti fa incazzare che i dipendenti abbiano otto anni di ammortizzatori sociali e non che i debiti dell’Alitalia siano tuoi?
E poi: l’imprenditore ha eventualmente il «diritto» sociale di far profitti. Se dovere di far profitti ha, è dovere non sociale, Piero, ma «statutario».
C’è differenza.
Eccome.
È un peccato non vederla.
Ricevo con piacere da un amico – un vero amico – che per motivi logistici non è momentaneamente in grado di registrarsi al blog un commento che qui di seguito copio.
Eccolo.
Ciao Federica.
Una risposta a questa «provocazione»: «Un giorno parlerai anche di come i sindacati, da strumento indispensabile di difesa dei diritti dei deboli si sono trasformati in centri di potere a protezione di insopportabili privilegi corporativi?».
Io penso che un sindacato debba essere un centro di potere e avere il potere di controbilanciare ed eventualmente contrastare lo strapotere dell’impresa.
Il centro di potere sindacale è costruito su principi democratici con tecniche per eleggere i propri rappresentanti che ciascun iscritto può contribuire a modificare o perfezionare.
L’impresa è invece un centro di potere imposto, basato su fondamenta non democratiche, e pertanto è costante il rischio che le decisioni diventino perniciose e possano minare la civile convivenza nei luoghi di lavoro (condizione ormai sempre più rara).
Se anche la spinta dettata dall’esigenza di tutelare i diritti dei deboli ha portato a far sì che alcune categorie di deboli abbiano ottenuto privilegi (insopportabili per chi?), non mi scandalizza.
La conquista del privilegio è un diritto naturale, segue l’evoluzione della specie.
Bisogna capire bene cosa vuol dire trovarsi di fronte alla controparte a un tavolo sindacale: in questo Paese ci si va a sedere nelle riunioni con la sola prospettiva di evitare danni peggiori ai lavoratori perché qualcun altro ha già deciso.
E lo ha fatto grazie a un sistema giustizia che non funziona, non soltanto in materia di diritto del lavoro.
Se una dirigenza sa che ci vogliono sette o otto anni anni per giungere a sentenza, non ha alcun problema a inserire nuove e sgangherate regole per raggiungere i propri scopi in un’azienda. E se
poi le leggi vengono cambiate con le cause in corso, il gioco diventa ancora più semplice.
Pur rendendomi conto che il commento al post fa riferimento ad una provocazione, credo che sia arrivato il momento di evitare simili dicerie da bar anche per scherzo.
Assisto infatti con particolare interesse al dibattito sui manager strapagati che hanno fatto soltanto
i propri interessi.
Sostengo da tempo, e tu lo sai, che il primo pensiero di alcune di queste figure professionali che hanno ricevuto l’incarico di tutelare gli interessi delle aziende, è soprattutto uno: restare in sella a tutti i costi e incassare l’inimmaginabile.
Bene, questa mia non è una provocazione, ma una domanda che tende anche a far aprire gli occhi agli imprenditori per evitare danni peggiori a loro stessi e ai lavoratori: non è forse giunto il momento di dire chiaramente che, mentre il sindacato veniva indicato come il nemico delle imprese, in alcune aziende c’era, e c’è ancora, un soggetto pericoloso (anche sul piano etico e morale) che non è minimamente paragonabile ai difensori dei diritti dei dipendenti?
Luigi Grimaldi
Io ci lavoro, con le Imprese – sì, quelle che vorrei sempre trovare con la “A” maiuscola, ma spesso quella “A” maiuscola non è…
Io sono uno di quei poveretti che hanno l’ingrato compito di verificare cosa le Imprese fanno dei soldi pubblici che vengono loro assegnati per creare investimenti, sviluppo, economia indotta e – soprattutto – occupazione…|
E vi lascio solo immaginare come torno a casa, alla sera, scornato e deluso per come questi soldi vengono nella realtà utilizzati dalla maggior parte delle cosiddette “imprese”…
Anche se incontro piccole realtà di imprenditoria “sana”, che cerca davvero di creare un qualcosa di vero e di nuovo, troppe volte mi imbatto in aziende che sono solo “mungitrici della mamma vacca”… E – alla faccia del Brunanetto che pontifica sulla cosiddetta “efficienza della Pubblica Amministrazione” – non ho più, oggi, alcuno strumento per far sì che alle aziende truffaldine venga tolto il beneficio: se io segnalo la cosa, non ne saprò mai più nulla: perché le cose se le sbrigheranno ai piani alti, a Roma… E addirittura, non mi vedrò neppure rimborsate le spese di viaggio, perché i tagli di bilancio sono stati arcigni più sulla mobilità degli Uffici che non sulle consulenze al Gabinetto da parte dei “soliti sospetti”…
E vi chiedo di perdonarmi questa mia premessa, che però è epidittica di uno stato attuale cher persiste… Ci scandalizziamo per le imprese italiane che licenziano in Lomardia o in Sardegna (la mia Regione) e delocalizzano in Albania, in India o in Cina… E perché non scandalizzarci per quelle che mungono la vacca italica e poi si fanno i giochetti loro?
Per fare solo un esempio, io trovai un immenso investimento, con milioni di Euro di contributi pubblici, che serviva solo a “mettere il cappello sulla sedia”; infatti, appena finita la trafila perché l’agevolazione fosse erogata a saldo, quell’impresa (“A” minuscola…) ha mollato il territorio del Sud ove era ubicata e dove lucrava i benefici pubblici: oggi, ha due stabilimenti in Cina ed uno in Romania, dove paga il lavoro un’inezia, contribuendo allo sfruttamento della Gente Comune di quei Paesi, ed avendo lasciato sulla strada i nostri lavoratori Italiani…!!!
Mi sento – così – depresso ed avvilito: mi sembra di combattere come Don Chisciotte i mulini a vento!!! E il Bilancio dello Stato italiano continua a fare regali a questa gente…! Temo che – come diceva Eduardo – dovrò aspettare che passi “‘a nuttata!”
Ma… passerà mai…?
Guido / Fayol
Guido, non sei il solo a sentirti sconfitto quando torni a casa la sera.
Non che questo consoli, ma almeno dà la dimensione del fatto che non è che stai impazzendo tu.