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ian sansom, uno scrittore per espatriare
Un paio di sabati fa gironzolavo fra gli scaffali della libreria Feltrinelli di Padova e mi sono imbattuta in una copertina deliziosa: quella che illustra questo post.
Ho girato il libro per saperne di più, perché a volte le copertine ingannano: i libri di Alexander McCall Smith, per esempio, hanno le copertine più belle del mondo ma le storie mi hanno deluso.
Ho scoperto che questo «The Mobile Library-The Case of the Missing Books» di Ian Sansom narra la storia di Israel, un libraio inglese un po’ sfigato nato da padre irlandese e madre ebrea.
A questo punto, considerate le meravigliose potenzialità di un intreccio culturale tanto sgarbatamente fecondo, ho deciso che quel libro doveva essere mio.
Tanto più che a vivere la sua prima avventura (della serie esistono già altri libri) il libraio se ne va in Irlanda, nella contea di Antrim.
Non l’ho ancora finito, e non so se l’intreccio – che promette di essere una veloce commedia degli equivoci, a tratti amabilmente surreale – manterrà le promesse. Però mi sento di consigliarlo già da ora (c’è anche in italiano: «Il caso dei libri scomparsi», Tea), perché contiene quella leggerezza divertente di cui secondo me molti di noi – beh, io sicuramente – sentono il bisogno in questo periodo, schiacciati come si sentono dal peso di un «discorso pubblico» incomprensibile e indigeribile.
Fantastica, anche nella scelta dei tempi, la scena dell’impiegata irlandese di origine cinese che si ingozza di Pringles e imbastisce un dialogo moralista e surreale con il povero Israel Armstrong che poche pagine più avanti finirà pieno di cacca di gallina, al freddo, senza soldi e con gli occhiali rotti.
Lo sguardo leggero di un Wodehouse che – non americanizzato come l’originale, ma inglese, e per giunta residente in Ulster – crea un personaggio con una madre ebrea alla Ovadia e un padre irlandese alla McCourt.
Ogni sera che lo leggo, espatrio. Perlomeno di testa.
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