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l’ordinanza me la faccio anch’io: vietato ridere
La faccio breve, non ho tanta voglia di inca******: rimando direttamente al pezzo del Corriere che fa il punto sulle ordinanze che i sindaci italiani, in pieno delirio di onnipotenza, hanno firmato perché incredibilmente spinti da un ministro della Repubblica italiana nata dalla Resistenza.
Un’ordinanza, a questo punto, la faccio anch’io, però.
Su queste cose è vietato ridere.
Lo si può fare in privato e a scopo esclusivamente difensivo.
Sostanzialmente per non piangere tre o quattro ore al giorno, ecco.
Ma non è ammissibile fare i «superiori» che ridono su queste ordinanze che stanno facendo carne da macello della legge, del diritto penale, del senso civico, del ruolo istituzionale dei sindaci, dei rapporti fra istituzioni e dei rapporti fra cittadini.
Vietato sorridere di cose che stanno tragicamente privatizzando la legge.
Di provvedimenti che trasformano il cittadino in suddito balbettante perché non può contare su una ragionevole omogeneità e prevedibilità del diritto, dei diritti e dei doveri.
Sedersi su una panchina è illegittimo a Voghera ma a Torino no.
Questo significa essere sottoposti all’arbitrio dei fragilissimi e precari circuiti neuronali dei sindaci.
E di questo, in pubblico, non si può proprio ridere.
Sarebbe una colpevole sottovalutazione, un esercizio supponente di sufficienza, una sorta di lapsus nel quale si comunica di non essere in grado di cogliere i segnali di pericolo, o di credere alla propria possibilità di salvezza perché si è ricchi di famiglia, ipotesi; o si vive altrove.
Una di quelle cose alla Severgnini, per capirci.
Hai perfettamente ragione. Ma queste ordinanze non possono essere impugnate? Non c’e’ un’accidenti di associazione o gruppo di cittadini che puo’ fare un ricorso, o qualcosa?
Resta la possibilità di impugnare le multe in sede giurisdizionale, in effetti.
Ma anche questo dipende dall’iniziativa individuale, e rimette al centro il problema della giustizia, ultimo argine possibile alla frammentazione e all’incertezza del diritto.
Nell’inesistenza della politica, dei partiti ai quali una volta ci si poteva rivolgere tentando di far arrivare istanze collettive alla consapevolezza comune (non dico che la mediazione riuscisse sempre, ma su questo versante Dc e Pci secondo me facevano il loro lavoro), saremmo – saremmo: condizionale – nelle mani dei giornalisti, i quali potrebbero esercitare attività di vigilanza, e nelle mani dei giudici, i quali intervengono però solo a cose fatte.
Sta di fatto che, ovviamente per puro caso, il contratto nazionale di lavoro giornalistico è scaduto da 1.264 giorni, e che, per puro caso, Berlusconi e Alfano promettono per l’autunno la riforma della giustizia.
Siamo in una botte di ferro…