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«non sentitevi in colpa se non fate l’elemosina»
Riporto, corsivizzandone le parti che mi sembrano più significative, alcune delle affermazioni che il vescovo di Verona Giuseppe Zenti ha fatto in un’intervista.
L’intervista, pubblicata sull’Arena di oggi, riguarda il tema «caldo» dell’accattonaggio, vietato due giorni fa in città da un’ordinanza con la quale il sindaco Tosi dice di voler debellare il racket.
Mi dispiace che il post ne esca un po’ lungo, ma credo che le parole del vescovo siano un ottimo indizio del clima politico.
E voglio solo aggiungere due cose.
La prima: a prescindere dall’amabile modestia con la quale Zenti si schermisce dicendo di non esser competente a dar giudizi sulla politica locale, buona parte delle sue affermazioni a me sembra spesa nell’intento opposto, benché io percepisca un movimento a tratti faticoso come lungo un tornante un po’ stretto che non si capisce bene se sia in discesa o in salita.
Se questo avvenga consapevolmente o no non saprei dire, anche se un’opinione ce l’ho.
La seconda: per attinenza, riporto le dichiarazioni rese sabato dal direttore della Caritas veneziana Dino Pistolato.
«La figura del povero romantico è ormai solo nei libri e non nella realtà. Non basta stendere una mano per essere poveri.
La parola al vescovo di Verona.
niente di assoluto: meglio storicizzare
«”I poveri li avete sempre con voi. Non sempre avete me…” La frase di Gesù va vista nel suo insieme e inserita nel suo contesto. Cristo chiede ad ogni cristiano e ad ogni uomo di buon senso di essere attento alle condizioni che sono sotto il limite della dignità umana e di intervenire in modo corretto e adeguato per riportarle sopra questa soglia».
non impietositevi: a volte sono ricchi!
«L’accattonaggio è in sé una piaga sociale, perché anche se venisse praticato da persone in condizioni di povertà estrema, una società civile e religiosa ha il dovere di intervenire. L’accattonaggio va impedito garantendo a queste persone, che spesso sono minori, modalità di vita grazie alle quali possono rapportarsi con la società non da accattoni ma da cittadini. La gente non deve impietosirsi di fronte a chi per la strada chiede l’elemosina. Spesso il povero che allunga la mano ha alle spalle dei delinquenti o comunque un mondo adulto che sfrutta le persone più indifese e di fronte alle quali è più facile commuoversi».
il pastore
«Non è mia competenza dare valutazioni sulle ordinanze comunali o sulle decisioni governative. Io faccio un ragionamento dal punto di vista umano e pastorale: l’accattonaggio non è degno di un cittadino (…)».
forse, ma solo forse…
«Forse andrebbero colpiti con più determinazione i responsabili veri, quelli che sfruttano dietro le quinte questa piaga. Non coloro che domandano soldi per la strada (…)».
non date soldi, mandate i poveri alla caritas
«Ho sempre raccomandato alla mia gente di non dare nulla a chi chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa proprio per scoraggiare l’accattonaggio. Invece la sollecitavo ad essere sempre attenta alle situazioni di povertà e indirizzarle alla Caritas».
l’accattone è un professionista come un altro: non sentitevi in colpa
«(…) Dico a loro di scoraggiare qualsiasi forma di accattonaggio, che in alcuni casi diventa una vera e propria professione e infonde nelle persone che decidono di non allungare una moneta un senso di colpa che non devono avere. Perché i problemi non possono essere risolti con qualche centesimo lanciato in un piattino».
a verona si mendica per comodo
«Qui a Verona non esiste il problema della fame e di un tetto sotto il quale dormire. Le possibilità sono offerte a tutti, se poi per qualcuno è più comodo chiedere l’elemosina è un altro discorso. Ma non è dignitoso farlo né è un gesto di pietà donare qualche soldo».
prima di tutto persone. poi, non è chiaro cosa
«Nomadi, immigrati, accattoni sono prima di tutto delle persone e vanno trattate come tali garantendo loro la dignità di persone. Concentrare tutta l’attenzione su di loro è un’ingiustizia. Le cause del male di vivere di oggi vanno cercate più in profondità nelle speculazioni economiche e nell’utilitarismo immediato, motori degenerativi delle nostre comunità. (… Occorre eliminare) i forti squilibri economici, sociali e culturali. Gli squilibri per le comunità sono come tsunami e non si può pretendere che chi, a causa di queste speculazioni folli si vede progressivamente retrocedere, stia anche fermo e zitto».
P.s. Per la foto ringrazio Rosanna B.
Condivido. Si stenta a credere che costui sia un vescovo. Alcune asserzioni sono degne di un intellettuale massimalista degli anni ’70. Passeggiando per Shanghai c’è una cosa che impressiona davvero: non ci sono accattoni! Nemmeno uno, il che è assolutamente incredibile, considerate le dimensioni della città, il fatto che è piena di cinesi clandestini poverissimi (gente che si è trasferita dalle campagne in città senza averne il permesso). Ecco dove stiamo andando.
Non saprei se del vescovo io mi sentirei di dire che parla come un intellettuale massimalista degli anni Settanta, visto che invece che invitare alla lotta di classe – cosa che, per carità, non mi aspetterei che faccia – invita a indirizzare i poveri alla Caritas.
😉
Ne riporto solo un paio, che sono ben più specifiche di ungenerico appello alla lotta di classe.
“Le cause del male di vivere di oggi vanno cercate più in profondità nelle speculazioni economiche e nell’utilitarismo immediato, motori degenerativi delle nostre comunità.”
“Perché i problemi non possono essere risolti con qualche centesimo lanciato in un piattino.”
Mi creda, un vescovo non avrebbe mai asserito cose del genere, che invece erano proprio gli argomenti prediletti delle piazze rosse.
Sì. Ma che il vescovo di Verona, nell’appoggiare la politica del sindaco leghista di Verona, possa venir definito un fiancheggiatore culturale delle «piazze rosse», beh, questo mi sembra francamente eccessivo.
Magari mi sembra così perché io qui vivo.
O forse perché non mi accorgo del fatto che Tosi, impedendo l’accattonaggio, fa una politica «rossa».
O del fatto che Tosi, e Cacciari, e Domenici, e tutti coloro che vorrebbero smaterializzare i poveri, polverizzarli e estrometterli dalle città per questioni di decoro o dichiarando di volerli proteggere dal racket sono in realtà pericolosi massimalisti di sinistra.
Sì, dev’essere così.
Le affermazioni che cita lei mi sembrano più sulla scia del papismo wojtylista (Wojtyla pronunciò più volte parole di scetticismo verso il capitalismo, e di sicuro non fu un papa che eccitò le piazze rosse) che di adesione a ciò che lei chiama massimalismo degli anni Settanta.
Le piazze rosse non esistevano già più (per fortuna) quando nacque il wojtilismo anticapitalista, ovvero negli anni’90 e non negli anni’70. Si potrebbe anche ipotizzare che l’anticapitalismo wojtilista sia nato proprio perché era scomparso ogni altro movimento “popolare” e fortememnte ideologico di critica al capitalismo sfrenato e in grado di riempire una piazza al mese.
Una soluzione “organica” e “radicale” della povertà, finalizzata alla produzione di buoni “cittadini”, ovvero i concetti cui sembra far riferimento l’alto prelato veronese, sono da sempre obiettivi prioritari della sinistra, tanto riformista quanto massimalista.
La destra padronale, di contro, è storicamente paternalista, come pure la chiesa, e tollerante l’elemosina. Ma nell’intervista al vescovo ciò emerge solo nel riferimento alla caritas (riferimento di sfuggita oserei dire; forse a causa degli attriti fra caritas e lega nord? di ciò la sua lettura non sembra tener conto, peraltro). Lei ritiene che io attribuisca il massimalismo rosso al biasimato vescovo per metterla in contraddizione? O per affermare teoremi destrorsi? Se (e dico se) crede così è fuori strada. Odio la destra ancor più della sinistra ed entrambe più di quanto odi la chiesa, che pure non amo. Quanto ai sindaci che cita non ho stima per nessuno di loro, esattamente come non sembra averla lei.
Il fatto che gli argomenti del vescovo siano marxisti non li rende automaticamente gli argomenti di Tosi. Tosi agisce per “ripulire” sottolineando l’ordine e la disciplina e non l’educazione civica, come sebra voler fare il vescovo. Ciò che personalmente mi fa pressoché vomitare è che il vescovo abbracciando teoremi che sono e saranno sempre, nonostante woijtila, socialisti e non cristiani, sembri scordare qualunque umana pietà. Esattamente come insegnano le feroci ideologie del XX secolo, di sinistra e di destra.
Mi correggo: il fatto che gli argomenti del vescovo conducano alle medesime conclusioni degli argomenti di tosi, non implica che il vescovo e tosi usino i medesimi argomenti.
Ve bene, Carlo.
Poteva infilarci anche la famosa e sempre d’effetto “Se un uomo ha fame, non dargli il pesce ma insegnagli a pescare”. Ma non mi sembra poi così furbo ‘sto vescovo…
mi sembra largamente condiviso che le parole del vescovo di verona siano inopportune, ingiuste, irrispettose, gravi. tanto più perché dette da una persona che per la sua posizione dovrebbe avere una maggiore comprensione della miseria umana.
però mi sento di aggiungere una nota, che probabilmente centra poco con quello che ha detto il vescovo. chiedere e dare l’elemosina secondo me sono una aberrazione del rapporto umano. perché non è mai un “ah, vedo che hai un bel panino al prosciutto mentre io nonostante gli sforzi non riesco mai ad averne uno e ho una gran fame. che dici ? facciamo a metà?”. fosse così sarebbe una gioia condividere. il fatto è che oggi la dinamica è sempre intrisa di pietismo da una parte e di sfruttamento del senso della pietà dall’altra. in molti casi arriva ad essere uno sfruttamento “professionale”.
esiste il racket ? certamente sì, non c’è dubbio. naturalmente questo NON può essere un motivo valido per cercare di nascondere i poveri sotto il tappeto, e chi cerca di far passare questa tesi è in malafede o un povero ingenuo.
nello stesso tempo capisco la perplessità della gente. vede i pullman carichi di storpi arrivare dalla romania e distribuirsi fra le vie per iniziare a “lavorare” e non sa più cosa fare. non si tratta semplicemente di rapportarsi col povero, con l’iniustizia, con la diseguaglianza, o con la diversità. si tratta di trovare un criterio per capire se la persona che hai davanti ha realmente bisogno o se sta cercando di sfruttare il tuo senso di colpa davanti a una gamba amputata.
perchè fa differenza, sì, fa un’enorme differenza, purtroppo. e va a finire che nel dubbio si diventa coriacei, o si trova un’ottima scusa per mettere a tacere i propri sensi di colpa e ci si chiude dicendi che sono tutti dei ladri.
in ogni caso il rapporto con il bisogno dell’altro non è facile. è un rapporto “drogato” fin dall’inizio, perchè basato su una diseguaglianza, un’ingiustizia. ed è difficile rendersene conto se non si è toccata la vera povertà, la miseria nera, la fame di cui si muore.
in uganda, quando ero piccolo e la mia famiglia si era trasferita per far funzionare un ospedale, il rapporto con la gente era diretto e semplice, sano. loro pur lavorando avevano bisogno, i miei genitori li aiutavano, loro erano contenti, i miei genitori pure, c’era un rapporto diretto, franco, pieno di dignità. ora, a distanza di 30 anni e a furia di gestire (da parte dei visitatori mordi-e-fuggi) le situazioni con un ingenuo senso di pietismo, tanti, troppi hanno imparato che più si raccontano storie pietose più soldi arrivano, i bambini prima di venire a chiedere vanno a mettersi i vestiti più stracciati, e fanno gli occhi lucidi. con questo non voglio dire che non abbiano bisogno, hanno un bisogno di aiuto tremendo, ma che è difficile non cadere in un rapporto malsano, artificiale, falso. e se si vuole davvero fare qualcosa di utile bisogna avere il fegato di non ragionare coi sentimenti ma sapendo valutare le situazioni per quello che sono. altrimnti è come cercare di svuotare il mare con un cucchiaino.
Piero, io non sono dio, che deve spartire il grano dal loglio per statuto professionale.
Se mi va di donare, dono.
Se non mi va, non dono.
Scrivi che «oggi la dinamica è sempre intrisa di pietismo da una parte e di sfruttamento del senso della pietà dall’altra».
Ma quello che descrivi sono le dinamiche perpetue dei rapporti asimmetrici in cui la parte «soccombente» deve gestire un senso di gratitudine e l’altra parte un senso di superiorità.
A me interessa relativamente poco se la persona che ho davanti ha – come dici tu – realmente bisogno di me o sta cercando di sfruttare il mio senso di colpa.
In parte perché se un tipo è senza gambe, faccio per dire, è senza gambe anche se è sfruttato dal racket (e se il racket gli dà tre centesimi dei dieci che ipoteticamente gli ho dato io, io ho comunque dato tre centesimi a uno senza gambe); ma anche e soprattutto perché, Piero, i sensi di colpa sono ca*** integralmente miei, dei quali non posso fare carico a nessuno.
Se non ho imparato a gestirli, i sensi di colpa, è un problema esclusivamente mio, e non ho il diritto, moralmente, di chiedere a nessuno – nemmeno a un sindaco sceriffo – di risolverlo al posto mio, magari cancellando dalle strade i poveri.
totalmente d’accordo, eccetto sul punto “la parte «soccombente» deve gestire un senso di gratitudine e l’altra parte un senso di superiorità.” sul quale abbiamo visioni diverse. secondo me quello che descrivi è un teorema non sempre applicabile, dipende molto dall’animo delle persone.
ma sul fatto che uno sceriffo non deve permettersi di regolamentare questi rapporti sono totalmente d’accordo, ci mancherebbe…
Non è un teorema, Piero.
È psicologia elementare.
Quasi da bar.
😉
Ma a nessuno viene in mente che vescovi, papi, prelati e similari dovrebbero occuparsi
non di morale
non di politica
ma di spiritualità?
A nessuno viene in mente che dovrebbero essere testimoni del Vangelo?
Li ospitiamo in TG, giornali, università…. Il loro posto è nelle chiese, non a rompere gli zebedei a tutti. Davanti a me, alla società, al Paese, sono cittadini come tutti gli altri.
E Zenti è un razzista. E come tale ha tutto il mio disprezzo.
Ciao, cometa
Non so se Zenti sia razzista in senso «tecnico», probabilmente no.
Di sicuro non mi sembra troppo addolorato dalla verosimile sofferenza di chi, chiedendo ciò che lui quantifica nella misura generosa di qualche centesimo, non chiede che vengano risolti i problemi del mondo, ma solamente che qualcuno gli dia la possibilità di non morire.
Sarà anche vero – cito – che «i problemi non possono essere risolti con qualche centesimo lanciato in un piattino».
Ma è senz’altro vero che il problema di sopravvivenza immediata di un individuo può ben essere risolto se in quel piattino molte persone mettono ciascuna un soldino.
Secondo te, leggo troppo tra le righe?
“L’immigrato non può permettersi di diventare un elemento di squilibrio della convivenza sociale. Nei riguardi di chi delinque è necessario essere determinati.”
Soprattutto, scusami se insisto, non è il suo ruolo quello di distogliere le sue pecorelle dalla carità, anche ammesso che il suo scopo possa essere lodevole (e non di appoggio politico l sindaco leghista, come appare). Il suo ruolo, come capo spirituale, è quello, se vuoi, di richiamare i fedeli al messaggio evangelico. Torni quindi mons. Zenti al pulpito che gli compete e lasci i giornali ai politici che già li infestano.
Mi fa tornare in mente quando anni fa un quotidiano nazionale intervistò Gigi Proietti a proposito dei successi sportivi di uno sciatore di cui non ricordo il nome; qual era l’attinenza? Beh, erano entrambi… CARABINIERI!
Dicevo semplicemente – no, scusami: semplicisticamente, e mi è chiaro che c’è una differenza! – che Zenti non sembrava farne una questione di appartenenza «razziale».
Ma credimi: non mi sfugge affatto l’estrema gravità delle premesse, delle implicazioni, e perfino delle possibili conseguenze (in termini di legittimazione di comportamenti «esclusivi») delle sue pesanti parole.
Che tanto gravi, in effetti, mi sono sembrate da volerle trasferire in un post.
oltre che razzista lo trovo anche settario.